Recensione: M.E.T.A.L.
A tre anni dall’ultimo riuscito Master of Light, ma soprattutto venti dal disco di debutto ormai caposaldo del power metal classico, Stairway To Fairyland, Chris Bay è ancora qui con la sua creatura a cantare inni di libertà, spensieratezza e positività.
Certo è che il tempo passa per tutti così come per la musica, ma al nostro biondo singer poco importa e tra qualche allenamento in palestra, un’oretta dal parrucchiere e, soprattutto centinaia di date live, giornate intere in studio e quant’altro, la musica che i Freedom Call propinano platter dopo platter continua a essere sempre così attuale pur rimanendo fedele ai canoni più statici possibili imposti dalla scena power tedesca anni novanta.
Quale sarà la ricetta vincente che Chris mescola con fare sapiente di chi, ormai, detiene gli ingredienti segreti per creare il power metal nel senso più stretto del termine senza mai riciclarsi o rendersi ridicolamente una cover band di se stessi?
La risposta, ascoltando i dieci studio album della band, potrebbe essere la capacità di saper unire in maniera egregia e indissolubile il classico power metal europeo, fatto di bordate di doppia cassa e cori maestosi, alternandolo con mid tempos più epici ed evocativi, influenzando in maniera più o meno evidente con refrain e venature tipiche dell’AOR e classico Hard Rock che mai male non fa.
A tutto questo aggiungiamoci una forte dose di ironia, autocitazioni continue, e soprattutto tanta leggerezza lirica dove la band non si prende mai così tanto sul serio e riesce a trasmettere quello che la musica dovrebbe fare, spensieratezza e farci godere un lasso temporale di stacco dalla stressante routine quotidiana.
Giunti al decimo disco in studio, il titolo M.E.T.A.L. fa capire che la band non ha intenzione di mollare un centimetro nella sua missione di trasmettere ghisa e acciaio alle legioni di fedeli, senza mai deluderli con virate stilistiche inopportune o ripensamenti sul genere che vuole proporre.
L’ascoltatore superficiale potrebbe dire che “Questi Freedom Call fanno dischi tutti uguali”, ma se da una parte può essere vero, riferendoci alla mission di questi artisti, d’altro canto non c’è nulla di più sbagliato in un’affermazione simile. Ascoltando infatti tutta la discografia notiamo sì un filo conduttore tra un’opera e l’altra, ma dentro ognuna di queste le atmosfere variano e ci trasportano sempre in mondi differenti seppur orientati alla felicità e all’allegria (tranne nel masterpiece Legend Of The Shadowking, dove si privilegiava un sound più epico e tendente all’oscuro ma pur sempre arioso).
Cosa aspettarsi pertanto da questo nuovissimo full length dei Freedom Call? Beh, il buon Chris Bay ha voluto semplificare la vita a tutti e specificare a caratteri cubitali nella orribile copertina ciò a cui andremo incontro: metal puro come la neve di montagna, come l’acqua cristallina e via dicendo.
Undici tracce, undici inni, undici killer songs, zero ballad. Formula atipica per gli standard del genere ma che noi apprezziamo, perché quello che vogliamo sono canzoni da cantare con il pugno alzato invocando libertà, cavalli alati e tutte quelle cose fantasiose che ci fanno stare bene e ci distolgono la testa dalla realtà.
Il disco si presenta come il perfetto successore del buon Master Of Light del 2016 ma più omogeneo e fruibile, con meno fillers e un songwriting più ispirato. La produzione è la prima cosa che balza alle orecchie; i Freedom Call hanno sempre avuto dei dischi prodotti e masterizzati ottimamente ma mai si era arrivati a una potenza simile dove per ogni colpo di cassa è come se arrivasse un fulmine dentro casa nostra. I suoni della sezione ritmica e le chitarre sono così perfettamente bilanciati ed equilibrati che si riesce a percepire ogni particolare che compone le canzoni; la voce e i cori non si coprono mai a vicenda così come le orchestrazioni, delle quali ovviamente l’album è ricco, non risultano mai essere invasive. In una parola: “perfezione”.
A dire il vero la opener 111 è il pezzo meno ispirato del lotto; fa strano sia stata scelta come primo singolo e apripista, trattandosi di una banale power metal song che, nonostante abbia tutte le caratteristiche richieste, risulta poco ispirata e fiacca, trascinandosi per quasi quattro minuti e invogliando lo skip quasi immediatamente.
Un passo falso ci può stare e, a ribadire questo, ci pensa subito Spirit Of Daedalus, che rimette subito le cose in chiaro; i Freedom Call non si sono rimbambiti e piazzano una mazzata old school come dovrebbe essere fatta, giro sinfonico circolare che viene seguito dalle chitarre e dalla batteria della giovane new entry Tim Breideband (Ex Bonfire) che con la doppia cassa ci fa volare come se fossimo sul tappetino di Aladdin con il NOS acceso.
Il singolo M.E.T.A.L. ormai lo conoscono tutti e non ha bisogno di alcuna presentazione mentre è la quinta traccia Sail Away che rappresenta una leggera atipicità nella tracklist del platter, risultando essere un mid tempo marziale, epico, evocativo e dal flavour dark come già si sentì nel succitato Legend Of The Shadowking del 2005, dotata di un refrain e un ritornello che entra in testa dopo mezzo ascolto.
La prestazione di Chris Bay è ciò che dà il valore aggiunto alle composizioni grazie alla sua timbrica riconoscibilissima, ricca di personalità e che difficilmente sbaglia un colpo, capace di tirare fuori un coniglio dal cilindro in qualsiasi situazione grazie a linee melodiche perfette in ogni contesto, che si sposano egregiamente col genere da noi più amato.
The Ace Of the Unicorn e Fly with Us sono quei classici pezzi che in un disco a caso potrebbero essere definiti filler, ma qui ricalcano la classica fattispecie di brani ormai imprescindibili in un lavoro dei Freedom Call, ossia quelle composizioni dalle liriche ironiche e scherzose con melody di chitarra tipici di fine anni ottanta e un’atmosfera dannatamente happy che, seppur non aggiungendo nulla alla ormai vasta discografia della band, si lasciano ascoltare con immenso piacere regalandoci un sorriso e facendoci fare un brindisi alla vita.
Il piatto pregiato deve però essere ancora servito e, dopo la più AOR oriented One Step Into Wonderland, contaminata pesantemente dall’esperienza solista del biondo singer di Norimberga, arriva il poker finale servito sul tavolo in maniera elegante ma prepotente.
Queste quattro tracce consecutive, pur non rappresentando alcun concept, sono fornite in blocco dalla band in maniera del tutto naturale e sono ciò che di meglio sia stato composto da molti anni a questa parte.
Inutile soffermarci su ogni singola traccia; ci limitiamo a dire che ogni singolo istante è intriso di ghisa, potenza, velocità e linee melodiche di altri tempi che esplodono con orgoglio e vigore mascolino in ritornelli che ben presto saranno imparati anche dai muri di casa vostra, tanta è l’epicità contenuta in essi.
Volare oltre l’arcobaleno alla velocità della luce per raggiungere la libertà dev’essere il motto che ognuno di noi, a petto nudo con un pugno al cielo e con la birra nell’altro, deve urlare a squarciagola per tutti i quarantacinque minuti di durata del disco distogliendo la testa dai pensieri negativi per danzare tra le nuvole nel regno dei cieli e della libertà.
In definitiva, questa nuova e decima fatica di Chris Bay con i suoi Freedom Call, può essere definita come ciò che di meglio i fan si sarebbero potuti aspettare dalla band nel 2019 dopo vent’anni di onorata carriera e dieci full length sul groppone.
Indiscussi leader del power metal classico del nuovo millennio, con buona pace di tutte le altre band storiche, incontrastati maestri di coerenza e dedizione alla sacra fiamma del metallo più puro e vero, anche questa volta, seguendo ciò che il cuore dice, Chris e l’allegra compagnia hanno vinto, scusateci se è poco.