Recensione: Made In Britain
Non sarà troppo?
Abbiamo lasciato i Whitesnake non più tardi di qualche mese fa a cavallo di un live album – invero piuttosto riuscito – che riprendeva felicemente alcuni dei migliori momenti del tour giapponese tenuto nel corso del 2011. Non a caso, l’opera aveva il magniloquente ed impegnativo titolo di “Made In Japan”, già di per se, motivo di stuzzicante interesse.
Ed eccoci, come già preannunciato a lungo, a discorrere di una nuova uscita griffata Serpente Bianco: per la seconda volta in brevissimo tempo, un prodotto registrato dal vivo da quella simpatica canaglia conosciuta come “zio” Dave Coverdale, in compagnia dei suoi “intercambiabili” sodali.
In quest’occasione il titolo assume l’altrettanto altisonante appellativo di “Made in Britain”, significativo nel dettagliare in modo semplice ed immediato la provenienza delle registrazioni racchiuse in questo doppio cd che, a quanto riferito dal sito web degli stessi Snakes, avrebbero preso la via della release ufficiale a seguito di pressanti richieste pervenute al management da parte dell’esuberante fan-base del gruppo anglo-americano.
Un disco doppio che, tuttavia, non si concentra in modo esclusivo sulle performance tenute in terra d’albione: il secondo dischetto, infatti, possiede il vezzo di nominarsi “The World Record”. Ovverosia, una raccolta di brani particolarmente riusciti eseguiti in varie parti del mondo, proprio nel corso del celebrato world tour del 2011/2012.
Fatta la dovuta premessa biografica, non andiamo però troppo per il sottile e parliamo senza peli sulla lingua. Ancorché animati da un profondo ed incrollabile attaccamento nei confronti di quella che – a detta di chi scrive – rimane e rimarrà per sempre la più grande manifestazione mai pervenuta su questa terra in ambiti puramente hard rock, la domanda sulla reale utilità dell’ennesimo disco dal vivo (il terzo in due anni), si fa pressante e luminosa come un neon acceso in un vicolo deserto nel corso di una notte senza luna.
Insomma, che ce ne facciamo?
Semplice: ascoltiamo per l’ennesima volta una serie di brani tra il sublime ed il leggendario. Ci beiamo di melodie che – pur se conosciute a menadito – non mancano mai di suscitare grandi emozioni.
E constatiamo, per il puro gusto della polemica fine a se stessa, quanto il carisma di un grandissimo frontman come David Coverdale stia divenendo direttamente proporzionale alla perdita della sua voce ultraterrena: più quella tende a diminuire, più la capacità dell’attempato leone britannico di tenere in mano lo show ed il pubblico si alimenta, adottando furbescamente stratagemmi da navigato marpione utili a sopperire alle proprie carenze.
Ed è così che “Made in Britain”, pur senza aggiungere la più piccola virgola ad una storia già arcinota, finisce per piacerci. Come potrebbe essere altrimenti del resto: pezzi come “Fool For Your Loving”, “Love Ain’t No Stranger” , “Here I Go Again”, “Is This Love”, “Forevermore”, “Ain’t No Love In The Heart Of The City” (e ci fermiamo per non eccedere nell’elenco), possiederanno per sempre una magia intrinseca fatta di note e poesia che rapisce e fa sognare in qualsiasi momento ed in qualunque veste le si vogliano proporre.
Tanto più, in un periodo di solarità estiva come quello attuale.
Tutti aspetti e particolari che un astuto e scaltro affabulatore come David Coverdale conosce e frequenta da tempo, giocandoci forse un po’, con la certezza di vincere sempre.
A differenza del fratellino “minore” uscito in aprile, questo “Made in Britain” si presenta poi come largamente più ricco e completo in termini di tracklist.
“Deeper The Love”, “Can You Hear The Wind Blow”, “Bad Boys” e “Slide It In” sono, in effetti, brani imperdibili nell’eccellenza di una carriera come quella degli Snakes, ed è un autentico piacere poterle riscoprire in tutto il loro splendore terremotante e romantico.
Essenziale infine, l’aggiunta conclusiva di cadeau risalenti all’antichità come “Burn” e “Stormbringer”, coppia di brani dai contorni leggendari, a perfezionamento di un’opera completa ed esaustiva, per quanto, come già sottolineato, dall’utilità nuovamente incerta.
Le canzoni sono immense. La registrazione di buon livello. Gli strumentisti davvero di prim’ordine.
La resa è ottima e Coverdale non pare nemmeno gracchiare come accaduto d’ascoltare troppe volte negli ultimi tempi.
E vabbè Zio Dave, ti passiamo per buona anche questa sventagliata di dischi dal vivo.
A patto che tu ora faccia riposare le tue magnifiche corde vocali e ti rimetta in forma per un nuovo, grande studio album. È il fan appassionato che ti parla… il freddo critico musicale invece, non accetterà di trovarsi ad ascoltare – magari a dicembre – un nuovo “Made In…”.
Che sia U.S.A., Europe, o chissà, un ancor più improbabile “Made In Italy”…
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