Recensione: Made in Heaven
Il 24 Novembre 1991 Freddie Mercury se ne è andato nella sua casa di Kensington, per una polmonite causata dal virus dell’aids, lasciando un vuoto incolmabile nei fans dei Queen e non solo. Dopo qualche anno di silenzio (e dopo il fantastico tributo a Freddie nello stadio di Wembley) il gruppo si riunisce in studio per fare un lavoro finale della carriera della band stessa, che con la morte del cantante non ha più senso di esistere; questo lavoro è “Made in Heaven”. Il disco è stato registrato e mixato negli studi svizzeri di Montreux e comprende soprattutto brani più o meno vecchi scartati dai vecchi album e poi riarrangiati, ma ci sono anche gli ultimi pezzi che Freddie Mercury ha inciso, prima di cedere alla forza della malattia e della morte. Soprattutto gli inediti sono molto toccanti, ma anche i riarrangiamenti di certe canzoni sono molto freschi e convincenti, e sono stati anche un lavoro molto duro per i tre Queen superstiti. Nonostante il dolore per la scomparsa dell’amico e collega i tre hanno voluto portare a termine ciò che Freddie voleva che fosse comunque pubblicato. Questo disco esce alla fine del 1995 e la copertina rappresenta la villetta svizzera di Freddie sul lago di Montreux; nel giardino rappresentato il cantante trovò l’ispirazione per la sua ultima canzone scritta: “A Winter’s tale”. Questo è sicuramente uno dei pezzi forti e più toccanti del disco, con un testo idilliaco, da canzone natalizia con un retrogusto dolciastro che mostra in maniera disarmante l’enorme passione di Freddie per la vita che gli stava fuggendo dalle dita. Musicalmente il pezzo è una ballata rock drammatica, molto lenta e sognante, cantata in maniera molto sentita e con un’ottima chitarra. Più sfavillanti e solari sono “Let me live”, “I was born to love you” e “Made in Heaven”. La prima è un trascinante ed indimenticabile inno Queen di andatura pop-rock, ma con passi gospel alla “Somebody to love”, belli gli squarci di chitarra e molto trascinanti i cori, con Freddie, Roger e Brian che per la prima volta si alternano nella parte di lead vocalist. “I was born to love you” è un brano dance di Mercury che è stato scartato da “The works” e nel riarrangiamento rock del gruppo è molto più fresca dell’originale, ma stenta a decollare e non convince appieno, nonostante innegabilmente sia un pezzo molto valido ed orecchiabile nello stile Queen. L’ultima delle tre, la title-track è una convincente nuova versione di un’altro successo solistico del cantante, molto ritmata, con ottime sonorità rock, ma anche spunti melodici quasi drammatici è senz’altro migliore della precedente. Le due versioni di “It’s a beautiful day” danno un enorme significato al valore che Freddie dava alla vita e che finchè fuori ci sarebbe stato un altro bellissimo giorno da vivere non si sarebbe mai stancato di suonare e cantare con la sua superba voce. E’ più convincente la versione originale voce-pianoforte: una ballata molto triste e drammatica, cantata con energia; la seconda cambia di poco rispetto alla prima, ma è meno originale e non a caso è una ripresa della prima: non la amo molto rispetto all’altra. “Too much love will kill you”, pezzo che io amo molto, è stato scartato da “The miracle” ed è un pezzo lento molto drammatico, una ballata tastiera-voce, con l’ottima chitarra di May che verso la fine spadroneggia; la canzone è anche un notevole successo del chitarrista come solista (ne è anche l’autore). Bello e struggente. “Heaven for everyone” di Taylor è un gradevolissimo esempio di pop-rock orecchiabile, diverso dal solito stile del batterista. La canzone più toccante è la bellissima “Mother love” uno struggente brano (l’ultimo che Freddie abbia mai cantato), terminato da Brian, che dimostra la voglia di Freddie di cercare la pace dell’anima prima di soccombere. Bellissima e significativa. C’è poi un riarrangiamento dell’acustica “My life has been saved”, da un’idea di Deacon, che era il lato B del singolo del 1989 “Scandal”: pezzo interessante, un pop tastiera-chitarra molto orecchiabile e musicalmente buono, anche se non decolla completamente. “You don’t fool me” è un interessante soul, con un ottimo May alla chitarra, ma è un pezzo che a me non dice niente.
In generale un buon album, soprattutto per quel che riguarda gli inediti, ma ha qualche calo di tono e qualche arrangiamento un po’ disutibile, senz’altro non è il migliore album della band, ma ha canzoni strepitose. Comunque è un progetto molto ammirevole e significativo, con ottime idee.