Recensione: Mad(e) In Italy
Death metal Made in Italy? Stavolta, davvero, si può dire di sì, e al 100%. Gli abruzzesi No More Fear, infatti, realizzano il terzo full-length in carriera intitolandolo “Mad(e) In Italy”, con un piccolo gioco di parole per sottolineare quel pizzico di follia nostrana che alimenta la loro proposta. Scorrendo i brani dell’album, difatti, non si può non costatare la presenza di elementi tipici della cultura rurale (e non) del nostro paese; che si formalizzano non solo attraverso i temi trattati ma, anche, mediante l’inserimento di strumenti folcloristici. Immersi, con senso del gusto, in una matrice di puro e duro death metal.
Un’operazione, questa, possibile sia per la grande bravura dei singoli strumentisti, sia per l’esperienza posseduta dall’ensemble italiano, vivo e vegeto dal 1996. Anche il booklet, dal forte sapore retrò, contrassegnato dalla simulazione di un vecchio ritratto di una ‘famiglia’ meridionale, fa tanto per immergere l’ascoltatore nell’atmosfera, davvero unica, creata dal combo di Sulmona. Un’atmosfera che unisce perfettamente l’anima di un mondo rurale (il mandolino… il marranzano…) ormai passato, alla moderna brutalità del death metal, di quello professionalmente ineccepibile; come dimostrato dal missaggio e dalla masterizzazione eseguiti presso i Fascination Street Studio di Orebro (Swe) per opera di Jens Bogren.
Coerenti con l’idea di base, i No More Fear evitano di spingere troppo sull’acceleratore. Il loro death, dai connotati caratteristici tradizionali, fonda le proprie radici nel growling possente e stentoreo di Gianluca Peluso, che ha fatto sue le lezioni impartite da vocalist quali Peter Wiwczarek dei Vader. Niente ‘lavandinate’, ‘suinate’ e cose del genere. Solo agra potenza. Assai evoluto, a dimostrare l’attitudine dei Nostri per la sperimentazione, il guitarwork elaborato da Max Peluso e Alex Montoneri, i quali non si tirano certo indietro se c’è da pestare duro ma che, a volte, rivelano un gusto sopraffino in certi passaggi estranei al death ove il parametro più importante è la ricerca della profondità emotiva e la voglia di divagare dalla ‘solita zuppa’, come si può facilmente costatare nell’incipit della grandiosa “Don Gaetano”, struggente sino alla commozione. Questa gran varietà musicale che si può rilevare ovunque, in “Mad(e) In Italy”, non poteva prescindere, pure, da una sezione ritmica capace di seguire con precisione i complicati voli pindarici degli axe-man e dei musicisti che hanno coadiuvato il gruppo nella realizzazione del platter.
Come un marchio distintivo il mood asciutto, polveroso e – soprattutto – melanconico che si percepisce nella già menzionata “Don Gaetano”, è un po’ il filo conduttore di un insieme di canzoni tanto diverse fra loro quanto rivelatrici di un’unica mente creativa; figlie evidenti di un notevole sforzo compositivo per donare a ciascuna di esse una precisa identità, un’anima tangibile, un cuore. La Storia dell’Italia unita (“150 Years”) è la giusta opener per introdurre chi ascolta, senza traumi, nel ‘No More Fear-sound’: sfuriate di blast-beats e improvvisi rallentamenti ritmati dal caldo suono mediterraneo del mandolino sono, non a caso, successioni stilistiche che non si sentono tutti i giorni. Come in “Taranthell”, possente brano quasi più thrash che death, concluso dalla più classica delle tarantelle del Sud d’Italia. Sulla falsariga dello schema di “Don Gaetano” si pone “Cemento Armato”: intriso di napoletanità sino al midollo. Con “Intrigues, Scams And Magnificent Horror” i No More Fear rabbuiano l’umore, quasi dark, mentre con “Southern Spirit” e “A Choice” manifestano a tratti di saper mettere il naso, senza farsi male, a certi passaggi piuttosto complessi e dissonanti. Da rilevare, infine, la presenza di una voce tenorile (Maurizio Pace), ben inserita nel contesto generale, in “Immota Manet”.
Un gran plauso, quindi, allo spirito d’inventiva dei No More Fear e al loro coraggio di aver totalmente italianizzato, con naturalezza e senza forzare mai la mano, un genere di tradizione invece straniera come il death metal, giungendo a fissare in “Mad(e) In Italy” un sound di gran carattere e personalità, facilmente distinguibile in mezzo a mille. Se, poi, i brani avessero avuto il pathos e l’incredibile melodiosità di “Don Gaetano”, il capolavoro sarebbe stato un dato di fatto. Così non è stato ma comunque il lavoro rimane, nella sua globalità, su alti livelli tecnici/artistici e compositivi. Un eccellente viatico per il futuro, insomma.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. 150 Years 6:14
2. Taranthell 4:08
3. Ass E Mazz 3:24
4. Cemento Armato 6:01
5. Intrigues, Scams And Magnificent Horror 5:57
6. Don Gaetano 6:43
7. Southern Spirit 5:31
8. A Choice 4:29
9. Immota Manet 6:26
Durata 49 min.
Formazione:
Gianluca “Kemionero” Peluso – Voce
Max Peluso – Chitarra
Alex Montoneri – Chitarra, gewa, bouzouki, mandolino, marranzano, backing vocals
Fahd Lafrikh – Basso
Gianluca Orsini – Batteria, percussioni
Musicisti addizionali:
Daniele Campea – Tastiere, campionamenti, effetti speciali, orchestrazioni
Angelo Ottaviani – Chitarra classica
Giorgio Di Giannantonio – Cajon, percussioni
Musicisti ospiti:
Maurizio Pace – Tenore in “Immota Manet”