Recensione: Magnified
Refrattario ai luoghi comuni, lontano dalle masse, fiero portatore di un’identità artistica non sempre compresa, spesso controversa, ma mai rinnegata.
Questo è Lenny Wolf, musicista, singer e compositore tedesco, passato alla storia come leader indiscusso di una delle formazioni più esclusive, fuori dagli schemi e caratteristiche dell’intera scena musicale degli ultimi venti anni, i Kingdom Come.
Mai esente da critiche Wolf, sin dagli esordi del gruppo – divenuto nel frattempo una sorta di prolungamento del proprio ego – ha cercato di affrancarsi da scomodi paragoni e similitudini più o meno evidenti tramite l’elaborazione di un percorso musicale aperto a molte influenze, contaminando uno stile originariamente devoto all’hard rock settantiano con elementi mutuati da concetti artistici meno tradizionali, affini ad ambienti underground e di manifesta ispirazione modernista.
Vagamente dark nello spirito ed ora spesso accostabile a divagazioni “trip hop” e “drum n’bass”, la musica dei Kingdom Come ha mostrato nel tempo segnali di metamorfosi continua, abbandonando così i sicuri lidi dei patinati ed acclamati “Bad Image” ed “In Your Face”, per scegliere un sentiero impervio e complicato come quello della sperimentazione e della creatività accesa.
La strada abbozzata con i vari “Independent”, “Ain’t Crying For The Moon” e “Perpetual”, trova ora uno sbocco concreto e tangibile in “Magnified”, disco dalla natura eterogenea e multiforme, come il proprio creatore, incapace di sottostare a schematizzazioni rigide, ma soprattutto lontano da ogni logica di semplice e banale commercio.
Arte trasmutata in idea personale, in visione ermetica che ben poco ha a che spartire con meccanismi di mercato o con qualsivoglia desiderio di incontrare il favore del pubblico più ampio.
Un concetto di musica differente, che in ogni suo aspetto – non da ultimo, il rapporto con la neonata label Planet Music, costituito sulla semplice fiducia e su nessun “vero” accordo contrattuale – mette in discussione sin dalle fondamenta ogni consuetudine.
I Kingdom Come sono ormai, come apertamente dichiarato del deus ex machina, una missione, un ideale fatto di suoni che non tenta di spiegare se stesso e si lascia, nella più totale indifferenza, giudicare in modo libero da chi vede e ascolta.
Se dovesse mai capitarvi di domandare a Mr. Wolf una descrizione, seppur sommaria, delle sue opere, la risposta sarà immancabilmente una sola. “Io creo, spetta agli altri cercare di entrare in sintonia con le mie creazioni.”
Una visione elitaria, al limite della superbia, che tuttavia, ne va dato atto, non manca di mostrarsi originale ed intrisa di valori artistici effettivamente tangibili e densi di significati.
È dunque in un’ottica un po’ scostata dalla semplice fruibilità d’ascolto, che vanno intese le nuove composizioni del musicista teutonico.
Brani talora ruvidi, oscuri, ermetici e compatti come cubetti di porfido, altre volte gommosi e futuristi, più raramente, memori delle melanconiche atmosfere riscontrate nell’emozionale “Bad Image”, costituiscono un tessuto melodico non sempre facilmente percorribile, capace però di affascinare e trasmettere stimoli inattesi, inserendosi “sotto pelle” ed avvinghiando in una sorta di gioco “vedo – non vedo”, in cui le sensazioni, i particolari, si rivelano poco alla volta ad ogni passaggio ulteriore.
Cadenze industrial–trip hop, riff corposi ed improvvisi assalti rock vecchio stile, sono la base di tracce singolari ed enfatiche come “Living Dynamite”, “No Murderer I Kiss”, “So Unreal” ed ”Hey Mama”, episodi cui fanno da contrasto il romanticismo della bellissima “24 Hours”, e delle soffuse “Over You”, “Unwritten Language” e della conclusiva “Feeding The Flame”, frammenti che ben s’inseriscono in scia ai Kingdom Come più classici, grazie all’uso smodato d’armonie nostalgiche e quasi autunnali, esaltate dalle caratteristiche vocals di Wolf.
Sorprendono invece i sussulti modernisti delle ipnotiche e notturne “When I Was”, “Sweet Killing”, e “The Machine Inside”, pezzi che lasciano trasparire l’interesse mostrato recentemente dal mastermind per le correnti più underground del centro-est europa. Ritmi acidi e intuizioni industrialoidi dall’impatto a dir poco singolare, che in taluni frangenti si rivelano accostabili a gruppi decisamente fuori campo come Muse e Massive Attack, nuovi riferimenti nella proposta – al solito complessa ed elaborata – dei Kingdom Come.
Poca tradizione dunque, grande voglia di rompere definitivamente con schemi asfissianti che per tanto tempo hanno rappresentato uno scomodo impiccio e non pochi imbarazzi, ed un importante desiderio di sperimentare e proporre qualcosa che sappia davvero mostrarsi come personale e diverso.
Il rischio è di non essere compresi, di lasciare con l’amaro in bocca i tanti che ancora ricordano con ammirazione album legati ad epoche remote e, a causa di una veste un po’ azzardata, di non riuscir più a strappare consensi.
Tutto questo è di scarsa importanza agli occhi di Lenny Wolf, artista a tutto tondo, convinto e sicuro della strada intrapresa e della bontà della sua arte, più che mai certo che la musica sia un linguaggio universale da decodificare prima con il cuore che con la mente.
Un disco difficile, ermetico, ancora una volta insomma, non esente da critiche.
Ma ancora una volta 100% Kingdom Come.
Discutine sul forum nel topic dedicato ai Kingdom Come!
Tracklist:
01. Living Dynamite
02. No Murderer I Kiss
03. 24 Hours
04. So Unreal
05. When I Was
06. Over You
07. Sweet Killing
08. Unwritten Language
09. Hey Mama
10. The Machine Inside
11. Feeding The Flame
Line Up:
Lenny Wolf – Voce / Chitarra / Basso / Batteria
Hendrik Thiesbrummel – Batteria
Eric Forester – Chitarra
Frank Binke – Basso