Recensione: Magnum Opus
Con più di 10 anni di carriera alle spalle e ben 7 studio album all’attivo, Yngwie Malmsteen è ormai una vera icona in ambito metal, l’uomo che ha saputo dare un nuovo significato alla parola “assolo”, colui che con la sua chitarra è stato in grado di oltrepassare qualunque limite velocistico. Amato ed imitato in tutto il mondo, il guita-hero svedese resta sempre il numero uno e continua imperterrito per la sua strada, incurante delle mode e delle critiche. E così dopo la mezza delusione di Fire and Ice ed il superbo The Seventh Sign ci troviamo a testare lo stato di forma dell’axeman scandinavo con questo Magnum Opus.
I tratti generali ricalcano a grandi linee l’andamento dei precedenti album con il solito mix di sfuriate neoclassiche e rocciosi mid-tempo. Purtroppo questi ultimi rappresentano la maggior parte del cd e dico purtroppo perché personalmente ho sempre amato molto il Malmsteen saettante e pirotecnico e molto meno quello in versione hard rock. Ma del resto il nostro protagonista viene dagli anni ’70/’80 ed è normale che certe sonorità poco metal facciano parte del suo songwriting. Quello che invece noto con estremo piacere è la particolare ispirazione di Yngwie in fase solistica. Alcuni solos infatti sono letteralmente strepitosi, primo fra tutti quello di “Fire In The Sky”, eseguito a velocità disumana. Da ascoltare e riascoltare mille volte! E proprio questo pezzo, grazie anche al drumming indiavolato e alle belle melodie vocali, risulta essere uno degli highlight del disco. In cima alle mie preferenze si posiziona anche l’iniziale “Vengeance”, altra trascinante bordata in doppia cassa con un solo finale da brividi. Ma anche negli episodi più soft la chitarra del nostro eroe si dimostra in stato di grazia. Citiamo ad esempio la splendida strumentale finale “Amberdawn”, dai ritmi cadenzati e costruita su una melodia originale e coinvolgente, oppure la dolcissima ballad “I’d Die Without You” che sulla scia di successi come “Save Our Love” e “Forever One”, tesse preziose trame acustiche per poi esplodere nel più classico dei chorus strappalacrime. Si respira aria più positiva e rilassata in “The Only One” e “Cross The Line”, momenti hard rock di discreta caratura, ma che sicuramente non rappresentano il fulcro dell’album. Incontriamo atmosfere decisamente più cupe in pezzi come “Tomorrow’s Gone” e “Time Will Tell” dall’incedere lento e pesante, entrambe sorrette dalla grintosissima voce di Michael Vescera. “Voodoo” non sarebbe nulla di che se non fosse per il solito rimarchevole assolo finale, mentre degna di nota è la breve strumentale “Overture 1622” che, come si evince dal titolo, esprime per l’ennesima volta l’amore smisurato di Malmsteen per la musica classica. Assolutamente trascurabile la rockeggiante “No Love Lost”, unica vera filler del disco, posizionata colpevolmente come seconda traccia.
Nel complesso Magnum Opus conferma quanto di buono era emerso dal precedente lavoro, anche se perde il confronto sui lenti, vero punto di forza di The Seventh Sign. “I’d Die Without You” e “Amberdawn” sono infatti belle canzoni ma non reggono il passo con il trio di stelle “Forever One” – “Brothers” – “Prisoner Of Your Love”. Da sottolineare inoltre la superba prestazione dietro al microfono di Michael Vescera, già straordinario in The Seventh Sign e, a mio parere, una delle voci più calde e potenti dell’intero panorama metal mondiale. La produzione infine è come al solito ottima, con il giusto spazio dato ad ogni strumento e il sound corposo e graffiante della sei corde di Malmsteen.
Tracklist:
1. Vengeance
2. No Love Lost
3. Tomorrow’s Gone
4. The Only One
5. I’d Die Without You
6. Overture 1622
7. Voodoo
8. Cross The Line
9. Time Will Tell
10. Fire In The Sky
11. Dawn
12. Tournament (Bonus Track)