Recensione: Magnus imperium
I Falkirk vengono dalla Francia, conferme di un movimento underground ormai diffuso in ambito metal, e consegnano la loro prima opera alla compatriota Brannus che si accolla anche la responsabilità di distribuirli in giro per l’Europa e che sembra davvero convinta del valore di questi quattro musicisti. Se conoscete nomi storici del panorama francese, parlo dei Killers, dei Manigance, dei Demon Eyes, vi verrebbe automatico pensare che un gruppo che si identifica nel metal classico come i Falkirk possa rappresentare una interessante proposta e possa anche convincervia nel mettervi alla ricerca di questo “mangus imperium”. Per questo motivo mi sono deciso a scrivere questa recensione, per salvarvi da un errore clamoroso, io non amo parlare male di ungruppo ai primi passi nel mercato discografico, ma devo anche prendere atto del costo dei dischi e del fatto che molto spesso alcune persone si approfittino troppo della fiducia di chi crede nel metal in senso artistico. Quello che ho più di tutto sdeganto in questo platter è la totale mancanza di mordente, la grinta che è alla base del concetto stesso di musica metal, la stessa che dovrebbe avere la massima priorità per chi suona questo genere, ma che nel caso dei Falkirk è completamente assente. Un insipido incedere monocorde e ripetitivo sembra essere la colonna portante di tutto il disco, la iniziale “calling” è quanto di più prevedibile, e purtroppo piatto, ci si possa attendere da un gruppo che si proclama debitore di una tradizione musicale di cui non conosce nemmeno gli stilemi. Perchè già da subito i Falkirk dimostrano di non conoscere il metal degli anni che furono e di non sapersi minimamente scostare da quanto detto da gruppi come gli Hammerfall degli episodi più discussi, come “renegade” o dai brani proposti già da altre decine di band solo per bissare i risultati ottenuti dai templari svedesi di prima. Pessima “beware my wrath” che mi sembra voler chiamare in causa concetti di scuola Maideniana, ma che poi si risolve in una accozzaglia sgraziata di suoni disordinati e deboli, coaduivati da un cantato assolutamente inadeguato e indiscutibilmente debole, inoffensivo. Se questi sono i capitoli forse ancora abbastanza tollerabili, certo non sotto il profilo meramente artisitco, di questo “magnus imperium”, bisogna rilevare una caduta abissale dei nostri Falkirk nella parte centrale del platter, con brani completamente sbagliati come “twilight bride” che per me non è nemmeno un pezzo metal e quindi non lo recensisco, oppure “empire for legacy” dove i nostri si vogliono misurare con atmosfere più medievaleggianti e epiche risultando assolutamente impreparati e ripetitivi. Infierire sulla conclusiva “it will be me” (ammesso che una frase del genere sia inglese) è come sparare sulla croce rossa, davvero non si riesce a vederne un perchè musicale, un brano allungato all’inverosimile ma che oltre alla solita confusa e inefficace architettura di cui non capisco il motivo, aggiunge vere pecce compositive sul versante ritmico, con un drumming vuoto, continuo e fastidioso che non ha spessore e non colpisce sul serio. Io però non mi nascondo dietro gli scudi, alle spalle i Falkirk si nascondo anche altri personaggi molto scorretti che cercano di estorcere ai ragazzi dei soldi vendendogli un gruppo che col metal classico non ha nulla che spartire, come se si trattasse della nuova sensazione del metal europeo, quindi mi pare giusto fornire una informazione puntuale su questo comportamento consigliando a tutti coloro che mi stanno leggendo di tenersi a mente questo gruppo, per poterlo prontamente evitare in caso di impropri consigli e ingannevoli forme promozionali. Tornando ai Falkirk posso solo augurarmi che gruppi come questi lascino spazio a chi realmente merita un contratto discografico perchè oggi si arriva spesso a pubblicare troppo presto e si rischia di non dare risalto alle molte e ottime formazioni che veramente potrebbero dire qualcosa di importante nel metal di oggi. Meditate gente, meditate.
Eugenio “Metalgenio” Giordano