Recensione: Majestic
I transalpini LizZard nascono a Limoges nell’ormai lontano 2006 e, dopo un paio di demo e parecchia esperienza on the road al seguito di realtà affermate come Gojira, Loudblast ed Enhancer, giungono finalmente al debutto sulla lunga distanza con “Out Of Reach”, uscito nel 2012.
Il 2014 ha segnato il ritorno in pista della formazione francese, composta dal chitarrista e cantante Mathieu Ricou, dal bassista William Knox e dalla batterista Katy Elwell, grazie ad un nuovo album intitolato “Majestic”, nel quale il terzetto prosegue sul sentiero della contaminazione di elementi di matrice progressiva con distorsioni dal forte retrogusto alternativo.
Il tratto maggiormente distintivo nell’economia del sound dei LizZard risiede certamente nel ruolo preminente svolto dalle ritmiche di basso e batteria – tutto sommato semplici ma dal tocco irresistibilmente groovy – all’interno delle composizioni. Laddove, quindi, Knox e la Elwell vanno a costruire una robustissima e coinvolgente impalcatura ritmica, Ricou spazia in tutta la libertà tra vari stili chitarristici (dal prog, all’alternative fino allo stoner) e di canto (prevalentemente clean – e piuttosto fantasioso – ma senza lesinare qualche puntata nel growl), modificando ed evolvendo l’umore della canzone di istante in istante.
Il mood è complessivamente meno elettrico e più atmosferico, rispetto a quanto proposto in “Out Of Reach”, e se ciò va indubbiamente a incidere in negativo in termini di impatto, va detto che la classe dei tre musicisti sopperisce in buona parte grazie ad un lodevole gusto compositivo e ad una buona dose di idee.
La prima metà dell’album ci regala alcune composizioni davvero notevoli, impostate su uno stile molto personale e illuminate da soluzioni melodiche mai banali. E’ il caso dell’opener “Vigilent”, della spaziale “Aion” e delle più tirate “Bound” e “The Roots Within”, canzoni nelle quali le suggestioni prog rock degli anni ’70 (Yes e King Crimson tanto per fare due nomi) convivono a meraviglia con la modernità sbilenca e dissonante di act quali Tool e Karnivool. “The Roots Within”, in particolare, è un vero e proprio gioiellino a base di ritmiche ipnotiche, chitarre psichedeliche e melodie aliene.
La seconda parte, vuoi per la mancanza di un qualche cambio di registro, vuoi per la presenza di alcuni brani leggermente sottotono (“Only One”, “Reminder”) cede leggermente il passo; un peccato, vista la compresenza di brani di grande valore quali la splendida strumentale “Just A Breath” e le conclusive “Colour Blind” e “Falling In Zero” a configurarsi come il più che degno finale di un album ispirato, avvincente e ricco di spunti.
Probabilmente “Majestic” perde il confronto con il suo predecessore ed è altrettanto corretto rimarcare come i LizZard non siano ancora in possesso del colpo da KO definitivo; tuttavia, in un’epoca dominata dalla quantità e dalla spersonalizzazione a discapito della qualità e dell’identità, un disco come “Majestic” non può che essere accolto come una ventata d’aria fresca.
Stefano Burini