Recensione: Majesty and Decay
Tornano sul mercato dopo 3 anni approfittando dell’improvvisa voglia di death metal della Nuclear Blast gli inossidabili Immolation, come tutti sanno tra le colonne portanti di quel death “made in New York” che negli anni ha assunto identità autonoma rispetto a quello floridiano. Majesty and Decay li coglie ancora in stato di grazia, anche se forse con un pelo di incisività in meno rispetto agli ultimi due dischi.
Il suono infatti si è preservato sostanzialmente alla perfezione, nel senso che non è variato quasi per nulla: l’oscurità e gli arpeggi distorti sono però meno presenti, o assenti, a questo round, e lo stesso mood generale si è fatto leggermente meno epico, con alcune importanti eccezioni.
Prima tra queste ultime, la title track: un riff fatto per restare, per quanto semplice, che la voce di Ross Dolan sa rendere inno:
A vile disturbance will move us all
Its will is iron, a blackened soul
Innocent blood will fill its need
Watch you faith turn and flee
Nulla che gli Immo non abbiano già fatto in passato, ma è sempre bello sentirsi a casa, specie con Dolan come angelo del focolare. I suoi compagni di squadra non sono da meno, anche se come abbiamo preannunciato questa volta il lavoro delle chitarre è più tradizionale, più death metal, di quanto un Shadows in the Light o un Harnessing Ruin ci avessero abituato.
È anche vero che il disco scorre su un livello buono, ma non ha enormi picchi a parte quello citato. Bisogna comunque fare menzione di A Glorious Epoch, in cui si rivede espandersi l’oscurità a loro tanto cara – insieme all’unicità del loro suono: epica, dark, splendida; così come l’altrettanto ispirata The Rapture of Ghosts, groovy e potente, di nuovo una hit dell’album.
Sfortunatamente sono i restanti pezzi a mantenersi sul livello di “buono ma non eccezionale” che li fa spiccare negativamente di fronte ai tre gioielli del disco: meno feeling, tanta irruenza – con Power and Shame però ancora sugli scudi, perfetta per i live – e forse meno dinamismo in una tracklist abbastanza uniforme rispetto al recente passato.
Questo ci fa abbassare leggermente il voto rispetto ai due precedenti lavori, confidando nel fatto che si tratti di un lavoro di transizione, in attesa di un nuovo capolavoro. Paradossalmente, il post-undici settembre aveva ispirato non poco i newyorkesi, aiutandoli a sfornare i lavori più intensi del death metal del terzo millennio nascente; forse ora quella spinta è leggermente calata, ma il talento continua a fare il resto.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
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Tracklist:
1. Intro 01:19
2. The Purge 03:18
3. A Token of Malice 02:41
4. Majesty and Decay 04:29
5. Divine Code 03:38
6. In Human Form 04:04
7. A Glorious Epoch 04:37
8. Intro 02:04
9. A Thunderous Consequence 03:58
10. The Rapture of Ghosts 05:19
11. Power and Shame 03:44
12. The Comfort of Cowards 05:52