Recensione: …Make Us Survive!

Di Fabrizio Figus - 5 Dicembre 2023 - 16:10
…Makes Us Survive!
Etichetta: MDD Records
Genere: Thrash 
Anno: 2023
Nazione:
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90

Spesso, quando una band decide di onorare una pluridecennale carriera, lo fa con un’uscita particolare: un greatest hits (magari con qualche brano inedito), un live, un cofanetto con quaranta CD, mille foto dei vari backstage o un misto di tutto ciò. In un prodotto che rende tanto da un punto di vista del lustro ma che, comunque, limita il target esclusivamente verso i veri collezionisti.

Ecco, questo non è il caso degli Headshot, band teutonica originaria di Braunschweig, legata alle sonorità della Bay Area di San Francisco.

…Make Us Survive!”, infatti, ripropone i migliori brani dei primi due album della band (“Brain at Risk” del 1996 e “Emotional Overload” del 1999) per festeggiare i trent’anni di carriera, registrandoli nuovamente ed avvalendosi della qualità dei giorni nostri, senza cambiare una virgola delle tracce selezionate (fatta eccezione, ovviamente, per i cambi di line up). I più nostalgici storceranno il naso, credendo di trovarsi davanti a un prodotto “plasticoso” che potrebbe anche offendere il rispetto degli originali da un punto di vista, diciamo, romantico. Niente di più sbagliato. Le undici tracce suonano sicuramente meno “grezze” dei lavori originali ma ci regalano, grazie a una cura maggiore del mixing e del mastering, un’esperienza devastante e ben confezionata al tempo stesso (artefice di ciò, anche la strabiliante voce di Daniela Karrer, la quale riesce ad apparire ancora più rabbiosa e cavernosa di Andi Bruer, precedente cantante del gruppo). Le danze si aprono con l’intro “Prophecy, Pt. I” (da “Emotional Overload”) che scivola minacciosa verso “Sudden Death”, una breve slavina di rocce devastanti che rotolano da un pendìo ripido e mortale. Segue “Mother Earth Meltdown” (da “Brain At Damage”), brano che rallenta leggermente i bpm e che offre un refrain dove possiamo chiaramente udire e vedere un intero pubblico che urla il titolo, in attesa di un violentissimo pogo. Torniamo all’album “Emotional Overload” con l’articolata “Silent Cry”, dritta e schietta, che porta lo stendardo della old-school alto e fiero. “Leave the Past Behind” strizza un occhio d’intesa ai Testament e non mantiene la promessa data dal titolo: il passato è sempre più vivo e disposto ad aggiornarsi (sorprendentemente, la Karrer, in alcuni passaggi, sembra davvero il buon vecchio Chuck Billy). “In My Mind”, dopo l’inizio arabeggiante, ci offre atmosfere e songwriting che ci portano a rispolverare un qualsiasi disco degli Anthrax dove, al posto della voce di Belladonna, abbiamo una Karrer quasi meditabonda, se così possiamo dire. Un attimo di respiro dato da una seconda intro: “Prophecy, Pt. II” e subito ci troviamo minacciati da “Emotional Overload” (title track dell’omonimo platter). Qui l’estensione vocale della singer e le chitarre velenose della Bassa Sassonia si alleano per portarci davvero indietro nel tempo ma sempre guardandolo dal nostro presente. Operazione ancora più marcata con “Rotten to the Core”, una cadenzata marcia oscura. Segue “Day of the Dead” dall’album di debutto e “Sentenced” dall’intro chiaramente Sabbathiano. “Prophecy, Pt. III” va a chiudere l’album.

Insomma, i nostri “Germanici della Bay Area” hanno sfornato un disco, a mio avviso, perfetto negli intenti. Sicuramente rischiando ma partorendo una creatura tanto spaventosa quanto fresca. Oltretutto, i due album dai cui sono tratti i brani, sono fuori stampa ormai. Ultima nota: la splendida copertina che vede una sorta di malefico Gollum, colpito proprio da un headshot e che fa eco alla violenza di classe che permea quest’album.

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