Recensione: Malignant Reality
Come se non bastassero le numerose definizioni di sotto generi del metallo della morte, ne è nata un’altra relativamente da poco tempo: il dissonant death metal.
La parola dice tutto, significando uno stile in cui regna la disarmonia, la dissonanza (appunto), la totale mancanza di melodia e un approccio alla questione segnato da una notevole complessità dei passaggi musicali. Tesi, questi ultimi, a non accordarsi in nessun modo a ciò che la mente intende per linearità, orecchiabilità e, ultimo ma non ultimo, feeling istintivo per qualcosa di piacevole da ascoltare in maniera naturale.
I Replicant, creatura dell’infinito roster della Transcending Obscurity Records, fanno parte di questa foggia musicale. Ben esplicitata del loro nuovo nonché secondo full-length in carriera, “Malignant Reality”. Già, poiché sono sufficienti pochi secondi dell’opener-track ‘Caverns of Insipid Reflection’ per avere subito l’idea di con chi si abbia a che fare.
Quello che salta subito all’orecchio è che, benché la tecnica di esecuzione esiga una qualità elevata, non si possa parlare di technical death metal. Il sound prodotto dal combo statunitense è, difatti, sporco, convulso e, in onore alle radici del death, piuttosto marcio. Il che non significa nemmeno di essere di fronte a una produzione insufficiente. Semplicemente, il sound stesso deve essere così, altrimenti si snaturerebbe il concetto di base del dissonant.
Concetto che non è così banale nella predisposizione della sua relazione strutturale. Mettere assieme note stridenti fra loro generando una musica che, comunque, possieda un certo fascino per la sua antitetica capacità di allinearsi a ciò che s’intende per l’aggettivo accattivante non è roba da poco. Nondimeno, essere in grado di porre chi ascolta nelle condizioni di non soffrire dei numerosissimi spunti stridenti che formano l’ossatura del disco è un’operazione complicata che, tuttavia, almeno nel caso in esame, riesce nel suo intento. Per essere ben chiari, è tutt’altro che facile comporre delle canzoni che, possedendo tutti i canoni della forma, pur essendo aspre in ogni loro passaggio alla fine dei conti riescono, quasi incredibilmente, a non dar fastidio al percezione acustica umana.
Si tratta di un’astrazione difficile da mettere in pratica ma i tre musicisti di New Brunswick riescono nell’impresa. Un po’ come accade nell’improvvisazione jazz. Perché si tratta di esprimere in ogni caso un’emozione, la voglia di rottura dalla solita zuppa, di mutare le coordinate classiche che sono fondamenta della maggior parte degli act che si cimentano in ogni elaborazione stilistica, death metal compreso. Certo, l’esperienza di vivere un LP del genere non è né facile né scontata: la dissonanza, si ripete, combinazione di accordi non in armonia tra loro, dà luogo a un suono finale strano, anomalo, fastidioso. Che è proprio quello che tiene in piedi il baraccone nel suo percorso dalla già citata ‘Caverns of Insipid Reflection’ sino alla closing-track ‘The Ubiquity of Time’.
I riff di chitarra, ingredienti principali della pietanza, si susseguono incessantemente con un’estrema varietà di combinazioni, volutamente laceranti per le membrane timpaniche. Anche le linee vocali frustano l’aria con un growling non troppo accentuato, interrotto da urla (sì, urla) i cui toni strappano le carni. Il tutto condito da sempiterne sequenze di blast-beats, giusto per completare l’opera distruttrice dei neuroni e delle loro concatenazioni elettriche.
Per concludere, “Malignant Reality” è un album per pochi. A parecchi farà storcere la bocca, ad altri potrà piacere per le sue particolarità di cui si scritto più su. Però, occorre dare il giusto valore al concetto espresso in maniera impeccabile dai Replicant, davvero bravi a esprimersi in un maniera del tutto opposto al normale andamento delle cose.
Daniele “dani66” D’Adamo