Recensione: Malivore

Di Alessandro Rinaldi - 26 Giugno 2023 - 0:59
Malivore
Band: Hasard
Genere: Black 
Anno: 2023
Nazione:
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75

Hasard è un artista francese molto creativo che ha dato vita a due progetti distinti e separati, sempre come one man band: il primo, Les chants du Hasard, in cui viene il black metal viene shakerato con la musica classica del XIX secolo, con particolare riferimento ad artisti come Mussorgsky, Prokofiev e Strauss; il secondo,  Hasard – probabilmente più personale, facendo coincidere il proprio nome d’arte con quello della band – in cui, coadiuvato dal pianista John Steven Morgan, membro degli Wreche, unisce segmenti di piano forte che richiamano la musica classica, agli elementi più caotici e dissonanti della musica estrema.

L’artwork, opera di Cäme Roy de Rat, racchiude lo spirito dell’album: un’ immagine contorta e folle, paradossale nel suo essere grottesca, un insieme di immagini che generano un mostro inquietante, degno  di un incubo lovecraftiano, ma allo stesso tempo attraente e affascinante.

Si definisce dissonanza il rapporto tra più suoni che non sono in armonia tra loro; il significato intrinseco mal si adatta alla ricerca del bello, obiettivo di qualsiasi forma d’arte, tra cui inevitabilmente anche la musica. Pensiamo ad esempio ad un quadro raffigurante un’immagine androgina e mal proporzionata, potrebbe mai essere oggettivamente bella? Allo stesso modo, due note che non si legano bene, rispettando la metrica compositiva, possono produrre un effetto positivo per le nostre orecchie? Sembrerebbe di no, all’apparenza; questo concetto viene superato dal fan del black metal, perché una delle caratteristiche di questo genere, in fase compositiva, è la presenza di accordi dissonanti. Hasard non si limita ad impadronirsi di questo elemento e farne l’ésprit del disco, ma lo esaspera andando a mettere in contrasto l’eccellente piano di John Steven Morgan con la sezione elettrica.

Hypnocentrisme è l’intro che non ti aspetti: un pezzo di oltre 11 minuti e un succulento antipasto di ciò che ci aspetterà. Atmosfere cupe e claustrofobiche proiettano l’ascoltatore in una stanza oscura, i cui muri di angoscia si avvicinano sempre di più. Ci guarda intorno spaesati da questo crescente senso di oppressione e paura, fino a quando il brano non rivela la sua natura black metal, salvo poi ritornare su sonorità più classiche, quasi da colonna sonora – un passaggio in particolare, ricorda molto il motivo di quel capolavoro cinematografico che è La nona porta. Urla strazianti introducono Vicivers, dalle tonalità più black: tremolo, pestaggio selvaggio e soprattutto una traccia di chitarra, a tratti davvero disturbante, creano un senso di oppressione e negatività che può sedurre in maniera pericolosa. Un infernale growl introduce Malivore, accompagnato da altrettante sovraincisioni che fanno pensare ai dannati: è il brano più cattivo del disco, quello più maledetto. Una bellissima intro di piano ci porta nel cuore di Choral inane, in cui le note richiamano melodie classiche che  si fondono con ruvidezza e velocità, aprendo una sorta di vaso di Pandora da cui fuoriescono tutte le negatività; è la follia al potere, un raptus musicale davvero coinvolgente, un grand guignol musicale che lascia a corto di fiato. Interspace è soffocante, angusta, e quando per un momento si interrompe per lasciar spazio ad un soffio di vento, la stessa ti ributta giù, ti affoga nell’oblio e nella disperazione, come un malato mentale che urla disperato nella stanza di un manicomio.

La musica è armonia. Hasard è dissonanza, quindi, un concetto radicalmente opposto al precedente. Completando il sillogismo, Malivore sarebbe l’anti-musica, o più semplicemente la sua Nemesi. Eppure non è così. Cos’è la musica se non la ricerca del bello su pentagramma? C’è del bello nelle imperfezioni: si dice che la stessa Venere fosse leggermente strabica, dando al suo sguardo quel tocco di magnetismo che altrimenti un viso perfettamente simmetrico non avrebbe avuto. E così c’è del bello nella dissonanza. Perché è facile farsi rapire da questi strumenti “asimmetrici” che dominano la scena, ma che allo stesso tempo irretiscono l’ascoltatore e lo imprigionano in una dimensione parallela, lontana. La grande abilità dell’artista sta nella capacità di avere una visione d’insieme, nella capacità di non strabiliare tanto nel passaggio singolo, quanto nel creare delle atmosfere particolarmente originali e creative: perché la differenza, all’interno della stessa canzone, è dettata principalmente dal sali e scendi del pathos generato dall’artista francese.

Malivore è una piacevole distrofia musicale, che proietta l’ascoltatore in un modo deforme e grottesco, talvolta pauroso, ma del quale non se ne può fare a meno.

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