Recensione: Mantiis
Ho sempre reputato la penisola Iberica come il fanalino di coda del metallo europeo. Non per dire, ma se la si passa a setaccio riesce difficile cavare dal buco due gruppi attivi per tre nazioni – i portoghesi Moonspell e gli andorrani Persephone. Poi un giorno vi si pone davanti il paladino dell’insipienza, un individuo dedito all’ascolto di djent, metalcore, roba mischiata, deviata, eccetera eccetera, che vi apostrofa dicendo: “sentiti gli Obsidian Kingdom.” Tu li senti mentre lavi i piatti, sollevi il sopracciglio e dici “bravi questi, aspetta che vedo la bio… Ah! sono di Barcellona, sai mai che qualche catalano non passi il suo tempo a Ibiza o a sentire ska!”
Ed effetivamente, gli Obsidian Conspiracy sono una band davvero interessante. Va detto che questo Mantiis lo avevano autoprodotto due anni addietro, ma solo ora la Season of Mists gli concede l’onore di una produzione ufficiale.
Estremamente difficile inquadrarli. Li si può definire come una specie di incrocio tra djent e prog atmosferico. All’incirca. Se avete la fortuna di conoscere Vilosophe dei Manes, sappiate che Mantiis ci va molto vicino, ma aggiunge un elemento death in più. Se avete la fortuna di conoscere quel disco, in ogni caso, capite che la materia qui trattata è piuttosto inafferrabile. Ad ogni modo, ad aumentare lo sgomento è la straordinaria frammentazione di questo album, non semplicemente a livello sonoro, ma strutturale. Si presenta diviso in 14 tracce, ma nella realtà le cose sono ben diverse.
Questi ragazzi infatti dimostrano un più che discreto gusto prog nel legare le varie tracce, peraltro con una struttura base di una intro, una minitrack in clean, un fraseggio strumentale ed una sfuriata black – death. Manca però una volontà o una capacità di chiudere le composizioni. Si tratta probabilmente della formazione squisitamente prog del recensore, ma è fuor discussione che le prime quattro tracce sarebbero una fantastica encore di dieci minuti, se solo venisse ripreso uno dei temi in chiusura. Idem per Answers Revealing e Last Of The Light che messe assieme vanno a formare una suite spettacolare (scoprirete la frattura tra le due tracce solo tenendo gli occhi fissi sul player), con la ciliegina della divagazione sassofonistica in coda. Molto bene anche le coppie Genteel To Mention e Awake Until Dawn o Haunts Of The Underworld e Endless Wall, ma si tratta di materiale a dir poco notevole, disseminato dalla prima all’ultima nota.
Gli Obsidian Kingdom, a dispetto di questo leggero problema formale, sfornano un disco davvero sorprendente, personale, sfaccettato, profondo, ma soprattutto emozionante. Ora i nostri sono nelle mani di una delle migliori case discografiche metal, dunque il loro percorso futuro dovrebbe essere – si spera – in discesa.