Recensione: Mantra For The End Of Times
Kalki, ultimo dei dieci Avatara di Visnu. Secondo la dottrina induista, la sua comparsa segnerà la fine del Kali-Yuga, era di decadenza iniziata tre millenni avanti Cristo e destinata a prolungarsi per 432.000 anni. Questa l’origine del titolo del nuovo progetto di Paolo Pieri (Malfiteor, Promaetheus Unbound, Shoreborn), un titolo che va ben al di là del mero gusto dell’esotico che (troppo) spesso attechisce in modo soltanto superficiale sull’immaginario popolare. Più che eloquente a riguardo la dichiarazione d’intenti dello stesso Pieri:
“Kalki Avatara supporta la velocizzazione del processo verso la fine del Kali-Yuga. Ogni nuovo atto di vizio e corruzione umana è un passo più vicino alla rinascita. Ogni tentativo di salvare le macerie della nostra civiltà è uno spreco di forze. Il giusto deve conservare inalterata la sua virtù, il suo onore, la sua solitudine, non deve farsi complice del male né combatterlo, ma lasciare che esso agisca indisturbato. Kalki genererà dalle rovine una nuova umanità. Siamo in attesa”
Posto che, qualora gli induisti avessero ragione, tale attesa ammonterebbe a qualcosa come 426.891 anni (campa cavallo…), il carattere fortemente provocatorio dello statuto di Kalki Avatara non perde di efficacia. Né perdono d’efficacia i contenuti musicali, ovvero l’unica cosa che interessa in questa sede. In una ventina di minuti appena questo “Mantra For The End Of Times” condensa una quantità di influenze semplicemente impressionante – musica classica, dodecafonia, folk orientale, raga indiano, progressive rock, jazz, fusion, avantgarde, black sinfonico… Il bello è che l’alchimia sembra funzionare: le composizioni sono complesse, camaleontiche, se vogliamo anche instabili, ma mai dispersive. Le tastiere assurgono al ruolo di guida illuminata più spesso delle chitarre, la cui funzione tende ad assecondare l’ottimo lavoro ritmico degli ospiti Nighthorn (già basso di Malfiteor e Hour Of Penance) e Francesco “Aeshla” Struglia (alla batteria con Promaetheus Unbound e Fleshgod Apocalypse). Lo screaming crudo e lancinante di Pieri si staglia su armonie di gusto orientale, accentuando la rottura fra la melodia dominante e la componente estrema, mai del tutto abbandonata. Non è affatto facile decifrare le canzoni ai primi ascolti, nonostante una durata non eccessiva e una coerenza di fondo che sottende l’avvicendarsi dei pezzi. Fra questi, il più spiazzante è sicuramente il conclusivo “Awaiting For The Golden Age”: un ipnotico mantra che si dilata per oltre quattro primi, fino a quando il grottesco intervento di Fabban (non a caso, Aborym) pone fine alla cantilena.
Ardua impresa portare termini di paragone pertinenti (forse i Sigh di qualche anno fa restano gli interlocutori più autorevoli), ma lungi dal costituire un limite ciò rappresenta anzi un ulteriore successo della band. Il potenziale insito in questo progetto è senza dubbio elevato, così come indubbio è il fatto che non tutte le orecchie siano predisposte ad accogliere musica di questo genere. Ma è il prezzo da pagare quando si rompe tanto brutalmente con la tradizione. Con questo EP Kalki Avatara pone una prima, robusta pietra nel proprio futuro; se su di essa sorgerà una cattedrale è ancora presto per dirlo. Se non altro, è probabile che lo scopriremo prima della fine del Kali-Yuga.
Riccardo Angelini
Tracklist:
01. Mankind Collapses
02. Ruins Of Kali-Yuga
03. Purification
04. Awaiting The Golden Age