Recensione: March Of Time

Di Mickey E.vil - 25 Marzo 2025 - 8:00
March Of Time
Band: Helloween
Etichetta: BMG
Genere: Heavy  Power  Speed 
Anno: 2025
Nazione:
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80

Tornano gli Helloween, non con un nuovo disco ma con la doverosa celebrazione di quattro decenni di piú che onorata carriera. Per celebrare questo viaggio straordinario, la band ha dato alle stampe una nuova compilation, March Of Time, che abbraccia l’intero catalogo della loro carriera. Composta da 42 brani selezionati con cura, questa raccolta viene proposta sia come box set di 5LP con vinile rosso, stampa d’arte e puzzle, sia come set 3CD, per la gioia degli innumerevoli fan della band, sicuramente amanti del formato fisico. Il tutto con una qualità audio di prim’ordine, grazie al re-mastering di quel Sascha “Busy” Bühren che si occupò del mastering di Helloween, il ritorno in studio del 2021.

I primi quattro brani ben rappresentano l’EP Helloween del 1985 e il debut-album Walls Of Jericho: il battesimo dello speed-metal, l’estremizzazione dell’heavy metal di quei giorni in termini di velocità mantenendo però feeling epico e melodia. Dei veri e propri diamanti grezzi. Il processo di raffinamento di tali gemme avviene – come tutti sappiamo – con due veri e propri monumenti intitolati Keeper Of The Seven Keys Part I & II: l’arrivo del giovanissimo e talentuoso Michael Kiske permette a Kai Hansen di concentrarsi sulle sue intricate parti di chitarra che – insieme a quelle del sodale Michael Weikath – codificano quel genere che avrà un’immensa fortuna negli anni a venire. Nel giro di soli tre anni gli Helloween dettano infatti le regole che loro stessi molto presto smetteranno di seguire.

Pink Bubbles Go Ape, il primo passo verso sonorità meno aggressive, è qui rappresentato da due brani a firma Kiske e Weikath (‘Kids Of The Century’ e ‘Number One’): una scelta consapevole quella di non includere un brano più speed come ‘The Chance’, il cui autore è il povero Roland Grapow (sostituto del defezionario Hansen), in seguito brutalmente scaricato dalla band e ingiustamente non coinvolto nella reunion di qualche anno fa? Passiamo oltre. Il passaggio dalla melensa e per nulla helloweeniana ‘Windmill’ a ‘Sole Survivor’ ha lo stesso effetto di una bastonata in fronte ricevuta durante un sonno profondo. Non sembra nemmeno la stessa band (non lo è) e per quanto si possano rispettare le scelte stilistiche degli Helloween di quei giorni (Chameleon) calandosi nel contesto dell’epoca, è evidente che la scelta conseguente fu quella giusta. Uli Kusch sostituisce più che degnamente l’indimenticato Ingo “Mr. Smile” e mette subito in chiaro le cose con una vulcanica ed elaborata introduzione di batteria di quelle che lasciano il segno. E poi la vera carta vincente di Master Of The Rings: Andi Deris dei Pink Cream 69, voce calda ed espressiva come poche e compositore di altissima caratura in grado di infondere nel power metal teutonico degli Helloween quelle venature dorate di hard rock dal gradevolissimo retrogusto AOR. Solo il suo contributo poteva rendere ‘In The Middle Of A Hearbeat’ quello che è: la power-ballad perfetta, la giusta evoluzione (siamo nel 1994) di ‘A Tale That Wasn’t Right’, forte di un arrangiamento maestoso e di una produzione potente che esalta le indimenticabili melodie vocali dell’inciso da cantare a squarciagola.

‘Why’ non è esente da echi che rimandano addirittura ai Blue Öyster Cult (ascoltate il bridge!) ed i rinnovati Helloween confermano questa formula vincente anche nel successivo Time Of The Oath, seppur indurendo un pizzico il sound. Ancora una volta troviamo una struggente ballad – dal titolo ‘Forever And One (Neverland)’ – che mostra come Deris sia in grado di passare con disinvoltura da una strofa bluesy a stelle e strisce ad un ritornello-anthem tipico del power metal europeo. La conferma della volontà della band di tornare ad un sound troppo presto abbandonato la troviamo nella weikathiana ‘Power’ e nei suoi coinvolgenti cori accompagnati dai caratteristici palm-mute di chitarra. Gli album successivi, a giudizio di chi scrive, perdono un po’ lo smalto riconquistato dai tedeschi, rimanendo comunque degni di nota. Uli Kusch si diverte a comporre un brano dal feeling progressive metal (‘Mr. Torture’, su The Dark Ride) e il solito Deris firma un grande compendio di epico speed-metal, atmosfere esotiche e hard rock di prima classe con ‘Nabatea’ (Straight Out From Hell). Ma questo non è un track-by-track, dunque giungiamo a quello che è uno scossone decisivo nella carriera degli Helloween: l’inaspettata e clamorosa reunion con Kai Hansen e Michael Kiske, la realizzazione dell’inno ‘Pumpkins United’ e soprattuto l’album autointitolato Helloween, qui rappresentato da ‘Best Time’, dall’emozionante ‘Fear Of The Fallen’ (incredibile la perfetta fusione delle voci di Kiske e Deris) e dalla mini-suite ‘Skyfall’, che sembra provenire dall’era Keeper e della quale consigliamo la visione del divertentissimo video!

Dunque una raccolta completa, che copre per intero l’ampio spettro della produzione di questi pionieri dell’heavy metal che uscendo dai confini teutonici sono stati in grado di influenzare miriadi di band. Gruppi che, mettendoci farina del proprio sacco oppure no, hanno attinto a piene mani a quel sound unico ed inconfondibile, che da patrimonio europeo è diventato patrimonio mondiale. Un ottimo modo per conoscere gli Helloween se siete neofiti, un bel viaggio nel tempo per chi già li conosce e vuole lasciarsi trasportare dalle svariate ed imprevedibili evoluzioni (ed involuzioni) di tale sound!

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