Recensione: Mardom

Di Alessandro Marrone - 15 Luglio 2019 - 8:00
Mardom
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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77

Dopo un silenzio durato sei anni, i tedeschi Darkened Nocturn Slaughtercult tornano sulle impronte lasciate con il precedente Necrovision, sfoderando l’ennesima dimostrazione di forza e che è in grado di scansare ogni dubbio riguardo la purezza del loro black metal già dai primissimi minuti di ascolto. Mardom è un album permeato da un alone oscuro, battezzato dalla introduttiva Inception Of Atemporal Transition, una maligna e breve attesa che viene subito deflagrata dalla prima vera e propria canzone del nuovo album: Mardom – echo zmory. Nei successivi tre quarti d’ora sarà un assalto sonoro senza mezze intenzioni, una frenetica corsa nella cripta dei DNS, dove si respira a fatica e si gode di una produzione capace di valorizzare il sound nella sua totalità, senza però rinunciare a quel sapore di marcio, di grezzo, di old school apprezzabile in particolar modo nella batteria, che si presenta con tonalità apparentemente estrapolate da una saletta prove piazzata in mezzo ad una catacomba.

 

La voce di Onielar – tra le migliori voci femminili in ambito black – viene letteralmente violentata brano dopo brano, quasi immolata verso un’accoppiata finale che eleva la valutazione complessiva del disco stesso, con Imperishable Soulless Gown che apre i cancelli a urla allucinate – stesso discorso per la conclusiva The Sphere. Quello pseudo lo-fi che rende Mardom una manna per gli amanti del black metal più puro si fa spazio soprattutto quando le ritmiche accelerano e viaggiano come in occasione di T.O.W.D.A.T.H.A.B.T.E. (che starebbe per The One Who Dwells Above the Heavens and below the Earth – Colui che risiede sopra i cieli e al di sotto della Terra), un brano che trasuda maligno da ogni nota e che fa il paio con la successiva A Beseechment Twofold, la quale inizialmente diminuisce la frenetica corsa verso l’estremità buia del tunnel, per poi svilupparsi in maniera mai scontata, come del resto l’intero album.

 

I DNS non sono novellini e difatti, giunti al sesto full-lenght in 18 anni di carriera, dimostrano di aver sempre preso molto sul serio ogni proiettile con cui mettere a ferro e fuoco ciò che gli si para davanti. Come succede raramente, in particolar modo avendo a che fare con un album in grado di riportare l’old school black metal al centro dell’attenzione, Mardom ha il merito di aumentare il proprio picco di gloria luciferina man mano che passano i minuti. Senza curarsi di pianificare un percorso o un ordine particolare delle canzoni che compongono il disco, si comincia con due dei brani più veloci, per poi passare a costruzioni che mescolano i classici elementi black, continuando imperterrito a mantenere un sapore sincero, per nulla studiato a tavolino. Come detto poco fa, una volta giunti a metà, si ha un ulteriore picco d’interesse con l’avvento di quelle che personalmente reputo le fasi meglio riuscite e senza dubbio quelle che definiscono al meglio il sound dei DNS. Sul finale, invece di suonare ormai prevedibile, la malefica Onielar riesce a stupire ancora, con una prestazione e una dedizione che non passeranno di certo inosservate. Consigliato a tutti gli amanti del black, in particolar modo a chi cerca qualcosa che sappia stupire senza però stravolgere quelle regole non scritte che sanno portare il nostro animo in quella dimensione a metà tra i cieli e al di sotto della Terra.

 

Brani chiave: T.O.W.D.A.T.H.A.B.T.E. / A Beseechment Twofold / Imperishable Soulless Gown

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