Recensione: Marionnettiste
2015. Alcuni ex-studenti della Music Academy International di Nancy decidono di mettere su una band di death metal, Exanimis, ovviamente di tipo symphonic.
2021. È l’ora del disco di debutto, “Marionnettiste”.
In un lavoro così profondamente incarnito nella musica classica forse sarebbe più lecito parlare di symphonic metal, semplicemente. Così non è, tuttavia, poiché l’impianto sono di base è quello del death. Indiscutibilmente. Dopo un incipit strumentale dal taglio tipicamente cinematografico (‘Prélude du Songe Avant le Cauchemar’), ‘The Wrathful Beast’ lascia il campo sgombro da ogni dubbio: trattasi di death metal, appunto. Certamente, e questo non si può certo negare, con una poderosa sovrastruttura di maestose orchestrazioni.
Il sound, potente, massiccio, violento, definito nella sua componente primaria dal poderoso riffing delle chitarre di Alexandre Dervieux e Julien Marzano costituisce, assieme al roco, brutale growling dello stesso Dervieux, un’opera di fondazione dura come il marmo, gigantesca come un massiccio tibetano. Del resto, non scherzano né il basso di Julien Prost, rombo di centinaia di tuoni provenienti da lontano; né la batteria, impegnata a dar vita a in insieme infinito di ritmi, compreso la furia cieca dei blast-beats (‘Stampede of the 10.000’).
Questo (sotto)genere è ampliato anche da cori maschili e femminili a sostegno di un’immaginaria, immensa cupola sulla quale sono vergati gli elementi-base di uno stile forse non originalissimo eppure totalmente coinvolgente per via di un’ampia visionarietà, sottesa a un carattere atmosferico dello stile medesimo. ‘Throne of Thorns’, che vola alla velocità della luce malgrado la si possa vedere come un’incommensurabile muraglia di suono, prosegue imperterrita il proprio cammino fatto di metal e ariose, a volte cupe sinfonie.
Evidente l’istintivo plauso ai tre musicisti francesi, capace di tenere assieme una quantità di mostruosa di note, evitando sfilacciamenti o perdite di accordi lungo il cammino che, dalla ridetta ‘Prélude du Songe Avant le Cauchemar’, porta alla conclusiva ‘Épilogue du Songe Après le Cauchemar’. Un viaggio nell’incubo, letteralmente, come da titoli. Incubo vasto, ampio, come a raccogliere i personaggi di un racconto horror. L’esecuzione della sezione prettamente musicale è perfetta, sia per quanto riguarda gli strumenti convenzionali come le chitarre, abilissime a indurire l’aria con riff secchi, quadrati, compressi dalla tecnica del palm-muting, ma anche capaci di eiettare assoli fulminanti, melodici, complessi. Sia per il pianoforte, gli archi, gli ottoni e gli altri protagonisti dell’orchestra a supporto. A tal proposito, pur essendo un’unica entità, inscindibile, il titanico suono del disco si può osservare da un lato prevalentemente metallico, sia da un altra angolazione formalmente classica. Due LP in uno, per semplificare al massimo. Che, però, sono ineccepibilmente sovrapposti e cementati fra loro dalla grande bravura dei tre ragazzi transalpini.
Che, coraggiosamente, non si esimono dal comporre e mettere a giorno due super-suite: ‘Cogs, Gears & Clockworks’ e ‘Cathedral’. In esse, compaiono anche inserti ambient che rimandano direttamente al potere del burattinaio, dio delle piccole bamboline che muove con abilità per sottometterle al suo comando. I cori rimbombano, l’incedere è possente, le orchestrazioni scuotono le budella, i ricami eseguiti a suggello del tutto danno a chi ascolta una forte sensazione di grottesco, esattamente come gli innaturali movimenti delle marionette e la loro espressione che ne deforma i volti dipinti. Soprattutto la seconda, ‘Cathedral’, immette nell’etere un’invisibile quanto potente forza immaginativa, sì da renderla a tutti gli effetti ideale segmento di un’opera propria della cinematografia. Stupiscono ancora una volta i cori, immensi, incommensurabili nella loro potenza emotiva.
Per tutto quanto detto sopra, “Marionnettiste”, per essere apprezzato in toto, necessita dell’assenza di pregiudizi e di un’apertura mentale non comune. Si tratta di una specie assai particolare di death metal, che può piacere oppure no, a pelle. Ma che se affrontato con la mente libera da inganni, regala brividi, sentimenti, palpitazioni incurvate dal peso di un grandissimo pathos.
Titanico.
Daniele “dani66” D’Adamo