Recensione: Mark Of Vengeance

Di Damiano Fiamin - 11 Agosto 2012 - 0:00
Mark Of Vengeance
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Anno: 2012
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72

Disco d’esordio dei lombardi Myriad Lights, giunti a questo traguardo dopo sei anni di esibizioni dal vivo, cambi di formazione e, in generale, dopo aver fatto fronte a tutti quegli avvenimenti che accompagnano i primi anni di vita di una band. Il quartetto suona un heavy metal vecchio stampo, che attinge a piene mani da un serbatoio di nomi mitici come Judas Priest, Whitesnake e, soprattutto, Rainbow. Mark Of Vengeance si presenta con una bella confezione digipak, con un libretto ben curato al cui interno convivono e si compenetrano fotografie, disegni e immagini computerizzate. Un’alchimia interessante, anche se non sempre riuscita. L’aspetto estetico è importante, certo, ma di certo non determinante; passiamo, pertanto, ad analizzare l’album dal punto di vista musicale.

Dopo la breve introduzione strumentale di The Descent, un crescendo corposo e incalzante, veniamo subito al sodo con Slum Devil, un bel brano di hard rock che ha dalla sua un ritornello accattivante che riesce ad imprimersi come un marchio a fuoco nel cervello di chi ascolta. La struttura compositiva vede alternarsi solo strumentali e parti cantate che, ad onor del vero, alla lunga risultano un po’ troppo ripetitive. L’atmosfera si riscalda, il ritmo cresce e dalle nostre casse erutta Livin Rock, un pezzo che rende omaggio all’heavy metal vecchia scuola, con una chitarra tagliente e una base ritmica infervorata. L’assalto finale implode in se stesso, in un momentaneo istante di silenzio che ci permette di prender fiato in vista dell’arrivo della traccia che dà il nome all’intero disco. Martellante e pompante, Mark of Vengeance non può essere citato come esempio di originalità compositiva, ma riesce certamente ad intrattenere e coinvolgere l’ascoltatore per tutta la sua durata; e questo non è certo un fattore trascurabile. La successiva Whisper of the Night prosegue lungo la strada aperta dalle sue sorelle, ma qualcosa si inceppa nel meccanismo: le parti musicali sono più fiacche e quelle vocali non riescono a trovare la scintilla giusta. Nonostante la lunghezza, inoltre, la traccia aleggia incerta tra una risoluzione ritmata e una più melodica non riuscendo, però, ad assestarsi bene in nessuno dei due territori. Torna il Metallo di una volta e dal nostro stereo esplode Fury of Time, una bomba sonora che vede la batteria di Motta pestare con potenza e precisione mentre basso e chitarra intessono arazzi di note graffianti e veloci. Davvero una bella prova, che ci permette di scordare rapidamente il mezzo passo falso del pezzo precedente.  
L’introduzione di Wandering Spirit è quantomeno spiazzante; dopo sei tracce di heavy metal piuttosto canonico, ci troviamo di fronte ad un brano dal retrogusto celtico, una chitarra acustica che trascina l’immaginazione attraverso terre verdi e atmosfere misteriose. Un esperimento curioso, ma ben riuscito, che dimostra, se non altro, un certo coraggio da parte del gruppo e una capacità di sapersi giostrare tra diverse sonorità. Passiamo oltre e avviamoci verso la conclusione con Golden Cell. Niente di nuovo sotto il sole, ci troviamo davanti ad un pezzo solido, con dei riff massicci che accompagnano Di Stefano nelle sue acrobazie vocaliche. Piccola chicca, la chitarra di Lombardo che, per l’occasione, si ritaglia dei cammei malmsteeniani davvero intriganti. L’incipit melodico di Asylum non tragga in inganno l’ascoltatore disattento: il pacato arpeggio funge solamente da ponte per una serie di colpi ben assestati, una rutilante serie di fraseggi concisi e pesanti che si intessono su una rete che ha come base il pulsante basso di Lombardo che saltella sincopato tra una nota e l’altra, accompagnando così i suoi compagni di band. Ad onor del vero, la parte mediana si ricongiunge all’introduzione, in una serie di suggestioni mediorientali e di rarefazioni ritmiche che permettono al brano di candidarsi senza troppe difficoltà al titolo di “più vario” dell’intero album.

Mark Of Vengeance è decisamente un buon esordio. I quattro ragazzi di Gorgonzola riescono a fondere le sonorità dei gruppi a cui si ispirano senza per questo risultare degli sterili imitatori. Una certa vena personale scorre in tutte le tracce e riesce a caratterizzare il disco in maniera notevole. Certo, c’è ancora qualche cosa da migliorare, prima tra tutti la varietà dei brani. A parte qualche notevole eccezione, tutti i pezzi insistono un po’ troppo sullo stesso tasto; intendiamoci, questa riproposizione non risulta mai noiosa, ma non sarebbe consigliabile continuarla su un eventuale secondo album. I Myriad Lights sono il classico gruppo di belle speranze: sanno suonare e sono in grado di comporre della buona musica e di intrattenere l’ascoltatore. Sarebbe un peccato sacrificare queste doti al demone della banalità.
 
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Tracce
01. The Descent 01:10
02. Slum Devil 04:31
03. Livin Rock 03:32
04. Mark of Vengeance 03:56
05. Whisper of the Night 05:41
06. Fury of Time 04:00
07. Wandering Spirit 04:21
08. Golden Cell 04:22
09. Asylum 06:50

Formazione
Andrea Di Stefano, voce
Francesco Lombardo, chitarra
Jeff Lombardo, basso
Phil Motta, batteria

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