Recensione: Mask Of Malice
Con la puntualità di un cronometro svizzero, i Lay Down Rotten tornano sul mercato con “Mask Of Malice”, sesto full-length di una serie rilasciata – appunto – con costante regolarità. Anche se l’intervallo dal precedente “Gospel Of The Wretched” (2009) è invero più dilatato del solito (da tener conto della sostituzione del chitarrista Daniel Jakobi con il collega Daniel Seifert, l’anno scorso), l’appuntamento discografico con i tedeschi è una certezza irrinunciabile, almeno per la leggendaria label statunitense Metal Blade Records.
Certezza che si fonda su un rigore stilistico senza compromessi: Jost Kleinert e compagni macinano, sin dagli esordi (1999), un death metal che fa della potenza esagerata ma controllata il proprio cavallo di battaglia. L’esser così monolitici nella propria idea musicale se da un lato regala una tranquillizzante sensazione di stabilità artistica, dall’altro non pone molte premesse per evoluzioni e/o sperimentazioni varie. Tali facce della stessa medaglia rappresentano un po’ la croce e delizia di molte band definibili ‘senza compromessi’, fra le quali spiccano, proprio, i Lay Down Rotten. Attenzione, però: questa prerogativa non è detto che sia da valutarsi negativamente. È un dato di fatto e in tal modo va affrontato, demandandone il relativo giudizio ai propri gusti personali e alla filosofia con la quale si affronta la questione musicale in generale, death metal in particolare.
Tornando al death metal, quindi, non si può certo negare che la formazione di Herborn rappresenti un inossidabile punto fermo se, del genere di cui si tratta, si decide di prenderne l’aspetto legato alla prestanza, al vigore. Trascurare altre sfumature della sua prestazione artistica, però, sarebbe ingeneroso. I Lay Down Rotten hanno dimostrato, nel corso della loro storia, di avere classe e talento per far parte dell’avanguardia del metal estremo. Non è quindi un caso che “Mask Of Malice” suoni ‘nuovo di zecca’, millimetricamente allineato alle più moderne proposte in ambito death. Di fianco alle reminescenze heavy metal e thrash che, peraltro, hanno sempre caratterizzato i lavori dei Nostri, non manca quel tocco *-core il quale, come un’anodizzazione, ha il pregio di tirare a lucido il sound del platter in esame. Così, approfondendo il suo ascolto, emerge qualche elemento di novità rispetto al passato che, sebbene – come sottolineato più sopra – non stravolga un impianto musicale già consolidato, alimenta in ogni caso un interesse verso “Mask Of Malice” tale da rendere abbastanza lontano il rischio di noia.
Buona la partenza del CD: l’incipit narrato sommessamente di “Deathchain” inganna poiché la canzone si rivela, al contrario, una terribile mazzata sui denti. L’interpretazione a tutto polmone di Jost Kleinert ha un tono stentoreo che non ammette repliche: forse un po’ monocorde, Kleinert ha il pregio di sostenere come un novello Ercole una struttura musicale dal peso enorme, elaborata finemente dal drumming Timo Claas, davvero bravo a variarne i tempi sino a forare la barriera del suono con i suoi devastanti blast beats. “A Darker Shade Of Hatred” è un altro attacco fonico portato all’estremo ma è anche l’occasione, per il duo Nils Förster/Daniel Seifert, di farsi apprezzare per la bontà di un guitarwork completo in ogni sua parte. Dopo l’intermezzo “Nightfall”, tenuto su dal basso di Uwe Kilian – pure lui professionale al 100% – , è il momento della title-track che, fra una sventagliata e l’altra della furibonda batteria di Claas, lascia intravedere una melanconica melodia che regala alla song, giustappunto, un taglio deathcore che avvicina il quintetto dell’Hesse ai connazionali Heaven Shall Burn e Neaera. “… And Out Come The Wolves” è un pesantissimo mid-tempo, occasione per ricercare qualche sapore antico bagnato nell’heavy metal dei Padri.
Anche la successiva “Swallow The Bitterness”, pur immersa nella follia dei blast beats, svela un riff portante dal taglio classico e una spiccata anima melodica. Di nuovo una breve introduzione parlata tradisce le aspettative per un passaggio più calmo: “Hades Resurrected”, il migliore episodio del disco, opera una stupenda alchimia fra furia demolitrice e orecchiabilità, sì da garantire sfrenato headbanging e voglia di scandire il ritornello a piena voce assieme al vocalist. Cantante che, in “The Devil Grins”, incattivisce la sua prestazione sino a lambire gli eccessi dell’inhale. Il thrash adombrato da qualche accordo black è il lievito fecondante del mostruoso main riff di “La Serpenta Canta”, dal refrain tanto semplice quanto penetrante. “The Loss”, infine, chiude le danze in modo perentorio con l’ennesima prova di forza da parte del combo teutonico.
“Mask Of Malice” è un album maledettamente consistente che fa del death moderno la sua bandiera. Sono poche novità nel sound dei Lay Down Rotten ma il loro songwriting è buono e loro sanno perfettamente quello che fanno. E lo fanno bene.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Deathchain 4:43
2. A Darker Shade Of Hatred 4:52
3. Nightfall 0:49
4. Mask Of Malice 4:34
5. … And Out Come The Wolves 4:02
6. Swallow The Bitterness 5:28
7. Hades Resurrected 4:03
8. The Devil Grins 3:39
9. La Serpenta Canta 4:56
10. The Loss 4:50
Durata 42 min.
Formazione:
Jost Kleinert – Voce
Nils Förster – Chitarra
Daniel Seifert – Chitarra
Uwe Kilian – Basso
Timo Claas – Batteria