Recensione: Mass III
Un cielo nero, di nuvole dense e pesanti; un vento freddo e carico di emozioni contrastanti. Ecco cosa gli Amenra evocano nella mia mente e nel mio corpo; una musica in continuo divenire da vivere brano dopo brano, che a volte come lame altre come deboli raggi di sole squarcia la tempesta dell’anima.
You’ll always be the end of everything I’ve ever done
You will always be
The end of me
Quella degli Amenra è una storia che parla di sofferenze e di ostacoli oltrepassati, descrive le pene degli uomini, di coloro che tentano disperatamente di cercare una risposta alle azioni del mondo e di sé medesimi e lo fanno con il cuore di chi ha vissuto in prima persona quegli stessi demoni. Larsen onnipresenti, chitarre esasperate, voci che non smettono mai di calarci in un universo carico di sofferenze, urlate passo dopo passo nel sentiero dissestato della vita.
Questi gli elementi cardine di una musica creata per orientare e disorientare.
Ci si trova un po’ persi, forse perché i brani molto lunghi e dai toni ripetitivi sono stati fatti per farci smarrire nell’abisso dei nostri turbamenti. A volte ci si sente come inseguiti (.Am Kreuz.) e col fiato corto ci sembra quasi di scorgere l’ombra dei nostri incubi, una donna che ci sussurra la verità chiusa in noi stessi (A teardrop on every page) in un agguato incalzante e disarmante.
Ad accompagnare la desertica landa di suoni quasi stoner degli altri strumenti, appare poi una voce, ora pulita, bassa, quasi una cantilena, una sorta di preghiera fatta a chissà quale angelo declassato (.Le Fils De Faux.).
Non mancano inoltre momenti più introspettivi (un po’ in tutti i brani), dati da cali di dinamica in cui i vari strumenti via via riemergono, lentamente, come rigenerati da una sorta di bagno battesimale pronti ad esplodere nuovamente e squarciare il muro del suono.
Fuori dal coro .Ritual. (già presente in Mass II) che inizia con una chitarra ormai inerme, una voce quasi da pop-hit romantica ed un basso che circoscrive il tutto, prima che una serie di piatti carichino il lamento finale di questo album dalle emozioni mutevoli e dai cuori infranti.
Questo album, che se non fosse per la durata dei suoi brani potrebbe essere considerato un EP (solo sei tracce lo compongono infatti), aleggia nell’aria che respiro come una vertigine ricordandomi che in fondo siamo tutti dei marinai persi nelle nostre stesse tempeste.
I testi si diramano nei vari brani con lamenti di intima compassione e quasi a sancirne il prossimo sacrificio le parole si trasformano in struggenti preghiere in cui offrire umilmente le proprie ferite per uno scopo più alto.
I wrote you a bible in blood
With my bleeding heart on the cover
And a teardrop on every page
These wounds will always remember you
Insomma, non un album da prendere a cuor leggero e forse non uno dei più maturi della band, ma non vi è dubbio che gli Amenra riescano a descrivere emozioni e a trasmetterle, purché la nostra anima sia in grado di catturarle.
Elettra Pizzale