Recensione: måsstaden
I Vildhjarta, dalla Svezia, amano fare le cose con calma e ponderazione, nel rispetto dei propri tempi e ritmi. Formatisi nel 2005, offrono un curriculum discografico assai ristretto. Dopo l’immancabile EP autoprodotto (“Omnislash”, 2009), è solo nel novembre dello scorso anno che riescono a dare alle stampe il loro primo full-length, “måsstaden”. L’accurata scelta dell’etichetta con la quale confrontarsi ha dato evidentemente i suoi frutti, poiché alla fine è spuntato sia il colosso Century Media Records, sia il tocco esperto e professionale di Jens Bogren (Opeth, Devin Townsend) alla masterizzazione.
Tuttavia, l’aspetto più… cerebrale, e anche interessante, dell’intera faccenda risiede nel fatto che la band abbia calibrato le proprie risorse nella ricerca certosina, negli anni, di uno stile unico, personale e quindi diverso da quello di tante altre realtà che bazzicano il metal estremo. L’operazione, come si può facilmente immaginare data la moltitudine di progetti concorrenti, è senz’altro una delle più complesse della musica moderna; e già di questo coraggio bisogna darne atto positivamente, all’ensemble nordeuropeo.
Un coraggio che ha parzialmente pagato, poiché – seppure senza stravolgere i dettami del death metal – i Vildhjart sono effettivamente riusciti ad amalgamare parecchi ingredienti in un’unica pietanza dal sapore abbastanza innovativo, comunque riproducibile e quindi degna di portare il loro trademark. Già il fatto che gli scandinavi siano in sette (sic!) implica un’assunzione di unicità, tuttavia questa caratteristica, più che da Guinness dei primati, è foriera di una maggiore possibilità di tirar fuori dal cilindro delle idee in più e, anche, di esplorare con più profondità e varietà l’infinito Universo della musica. Se il famigerato ‘più si è, meglio si è’ non è detto che funzioni sempre, nell’arte delle sette note, l’effettivo apporto di più membri può, in effetti, essere d’aiuto all’economia complessivo della band. L’ensemble di Hudiksvall fa quindi sua questa possibilità… numerica e propone, alla fine, un sound ricco di personalità, vario, complesso, caleidoscopico ma, allo stesso tempo, consistente, efficace, dalle caratteristiche costanti nel tempo. Su una massiccia base death, allora, si possono facilmente distinguere tracce ben evidenti di prog e di doom, per una riuscita sinergia fra potenza sonora, esercizio di tecnica e profondità emotiva.
A una così buona costruzione dello stile musicale non si affianca, purtroppo per i Nostri, pari abilità nel saper scrivere ‘grandi’ canzoni. Beninteso, il livello artistico di “måsstaden” è sempre ben oltre la sufficienza; tuttavia manca un po’ di coesione fra i brani e, soprattutto, qualche episodio che rimanga impresso con decisione nella scatola cranica. Momenti di spiccata aggressività (“Dagger”) si alternano ad attimi di struggente melodiosità (“Traces”) nell’intento, almeno a parere di chi scrive, di evitare il rischio-noia. Tuttavia sia da una parte sia dall’altra non si raggiunge l’acme dell’eccellenza. Emblematica di questa situazione è la conclusiva “The Lone Deranger”, song che rappresenta appieno la forma mentis di Daniel Bergström e i suoi compagni. Cioè, un ipnotico viaggio fra le buie e strette vie di una città cosmopolita nella quale convivono più etnie che, quasi magicamente, s’integrano e si compenetrano per formare una popolazione omogenea. Growling, screaming, accelerazioni, rallentamenti, dure dissonanze, delicate armonie, toni drammatici e intarsi visionari si rincorrono senza sovrapporsi, arrivando così, finalmente, all’aggettivo ‘accattivante’. Ma, come si è accennato prima, alla fine dei conti questa suite è unica nel suo genere, in “måsstaden”. Tanto che, paradossalmente, si trova nuovamente materia di vero interesse nei mini-brani strumentali “Östpeppar” e “Nojja”, stralunati e allucinati come pochi.
“måsstaden” si colloca, come giudizio complessivo, fra il discreto e il buono. Con il rimpianto, per chi ama il genere praticato dai Vildhjarta, di aver perso l’occasione di avere fra le mani un capolavoro o, perlomeno, un grande album, se Euterpe si fosse ricordata di baciare le mani dei tre axe-man svedesi.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Shadow 3:38
2. Dagger 4:26
3. Eternal Golden Monk 3:52
4. Benblåst 3:14
5. Östpeppar 1:56
6. Traces 6:13
7. Phobon Nika 2:54
8. Måsstadens Nationalsång 0:47
9. When No One Walks With You 3:19
10. All These Feelings 6:53
11. Nojja 1:42
12. Deceit 5:09
13. The Lone Deranger 7:27
Durata 51 min.
Formazione:
Daniel Ädel – Voce
Vilhelm Bladin – Voce
Daniel Bergström – Chitarra
Calle Thomér – Chitarra
Jimmie Åkerström – Chitarra
Johan Nyberg – Basso
David Lindkvist – Batteria