Recensione: Måsstaden Under Vatten
Dieci anni. Dieci lunghi anni. Nulla, quasi del plancton rispetto all’infinito, ma tantissimo nel contemporaneo in ambito tecnologico e soprattutto artistico. Un lasso di tempo ad oggi impensabile per poter mantenere una band nel silenzio, eppure i Vildhjarta sono vivi e vegeti e pronti a riaffacciarsi sul mercato. Da molti nel 2011 non furono capiti (Me compreso!! Ndr) e da molti non verranno capiti oggi per una diversa serie di motivi.
Måsstaden Under Vatten stilisticamente procede il discorso intrapreso col precedente Måsstaden; di cosa stiamo parlando? Bella domanda. La band chiama il proprio genere “thall”, che deriverebbe dalla pronuncia un po’ impastata dall’accento svedese (Fantozzi, è lei???) della parola Thrall, personaggio di World Of Warcraft. Rendendo invece la cosa più comprensibile ai comuni mortali, i Vildhjarta suonano djent.
Gli svedesi sono fortemente influenzati dai connazionali Meshuggah ma non si fermano di certo a eseguire un inutile lavoro di scopiazzature. La base sì, viene da Haake e soci, ma la si porta su binari più personali e ancora meno accessibili. I due Måsstaden sono concept ambientati in una città nascosta ed isolata, narrati come le fiabe classiche. Agli artwork e ai testi sopraffini si aggiungono quindi parecchie variazioni sul tema, che ibridano il genere di base con melodie ed elementi di casa in lidi più progressivi.
Le composizioni sono molto oscure, e se i Meshuggah basano molto i loro brani sui loop, qui si fa il contrario offrendo tracce molto complesse a livello strutturale e che molto spesso non hanno una battuta uguale a un’altra. La sezione ritmica e le chitarre sono devastanti, la produzione da denuncia e la voce è rigorosamente in growl con pochi sporadici secondi di clean vocals di cui si sarebbe potuto fare tranquillamente a meno. La cura ai dettagli, agli stacchi e ad ogni singola nota di passaggio è maniacale e, alla fine della fiera, risulta un’arma a doppio taglio. Måsstaden Under Vatten è un doppio album che dura praticamente come una partita di calcio ed è quindi un ascolto parecchio impegnativo, che richiede attenzione e che non si presta per niente ad un approccio “easy”.
Già il djent è una nicchia, qui invece siamo nella nicchia della nicchia e i Vildhjarta fanno proprio di tutto per complicare le cose all’ascoltatore rendendosi sempre più inaccessibili. Tutto ciò non è un male, anzi, ma le soddisfazioni da Måsstaden Under Vatten arrivano a scoppio ritardato dopo parecchi, pazienti e lunghi ascolti e il rischio noia è sempre dietro l’angolo. Tutto sommato però, tirando le somme, abbiamo davanti un’opera di altissimo livello. Poche band estreme sanno suonare in questa maniera e poche hanno idee e lucidità tali da poter concepire un’opera di dimensioni gargantuesche senza cadere mai in una banale prolissità. Una tiratina di orecchie va fatta sui titoli dei brani: alcuni in svedese e alcuni in inglese, alcuni poetici e alcuni che sembrano le prime parole che vengono in mente quando si abbozzano nuove idee in sala prove. Dettagli per proctologi.
Manca quindi ancora qualcosa per poter definire i Vildhjarta come “arrivati”. Alcune cose non sono perfettamente a fuoco, alcune funzionano benissimo e altre andrebbero invece snellite. Måsstaden Under Vatten è comunque tappa necessaria di un percorso che probabilmente vedrà il suo completamento nei prossimi album; per ora promossi, speriamo di poterli risentire presto.