Recensione: Master Control

Di Matteo Lavazza - 26 Settembre 2002 - 0:00
Master Control
Band: Liege Lord
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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80

I Liege Lord sono uno dei gruppi di culto che si sono formati durante gli anni ’80 e che poi sono scomparsi all’inizio dei ’90, dopo aver regalato alcune vere perle in ambito classic metal.
Questo “Master Control” è l’ultimo lavoro dei nostri e, sebbene non sia certo del loro miglior disco, rimane comunque una buona testimonianza di quello che era il metal in america un paio di decenni fa.
L’inizio è affidato a “Fear Itself”, che cattura subito l’attenzione grazie ai buoni riffs, prodotti dalla coppia Paul Nelson/Tony Truglio, e all’ottima voce di Joe Comeau (ora in forza agli Annihilator, in passato chitarista degli Overkill).
“Eye of the Storm” e la title track sono due buoni esempi di metal made in USA della fine degli anni ’80, grandi riff di chitarra, tempi sostenuti ma nn troppo, ottime melodie vocali e tanta potenza.
Arriva il turno della cover della storica ed immensa “Kill the King” dei mai troppo osannati Rainbow che il gruppo rifà in maniera decisamente più veloce dell’originale.
Ottima la prestazione vocale di Comeau così come quella dei due chitarristi, peccato che il basso rimanga sempre un po’ assente.
Con “Soldier’s Fortune” i ritmi si fanno un po’ più veloci del solito, con dei riff che mi hanno ricordato certe cose dei Maiden. Anche in questo caso la prestazione del gruppo risulta essere  molto buona.
“Feel the Blade” è un mid- tempo molto bello, con ritmiche taglienti e la solita ottima linea vocale, uno dei maggiori pregi dei Liege Lord è proprio questo, canzoni forse banali ma sempre in grado di fare presa sull’ascoltatore.
La successiva “Broken Wasteland” parte con un gran riff di chitarra, di quelli per così dire “rotondi”, in grado di far sbattere la testa anche ad un convinto detrattore del metal .
La canzone è un esempio perfetto per descrivere la scena Heavy Metal americana di fine anni ’80, chitarre possenti, melodie ruffiane ma non troppo e una velocità mai troppo elevata ma sempre sostenuta.
“Rapture” è forse il pezzo più violento del lotto, con i suoi riff quasi thrash il pezzo è uno dei più trascinanti, grazie anche all’ottima voce del solito Comeau, che riesce ad essere sia aggressivo, come in questo pezzo, che melodico.
La seguente “Suspicion” risulta essere invece la canzone più debole di tutto il disco, la sensazione che sia stata messa lì giusto perché c’era dello spazio da riempire è stata per me molto forte.
Il finale è lasciato a “Fallout”, grande pezzo con un alternanza di parti melodiche e altre più aggressive, in pratica è una sorta di riassunto di tutte le caratteristiche di questo disco, e il risultato non poteva che essere ottimo.
Di certo questo “Master Control” non è un disco che entrerà negli annali del metal, ma è comunque un ottimo album, suonato bene e molto indicativo per riuscire a capire quello che era il metal negli Stati Uniti.

 

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