Recensione: Master Of The Rings
Nel 1994 inizia la “terza fase” degli Helloween. L’era Deris, come piace dire a molti, che fa seguito all’epoca gloriosa di Walls of Jericho e dei Keepers I e II, nonché all’”età di mezzo” dei bistrattati Pink Bubbles Go Ape e Chameleon, dischi in cui le bizzose zucche di Amburgo avevano cercato una via alternativa al filone power, pur mantenendo ed evidenziando il marchio “happy” ancora vivo nel loro DNA.
Andi Deris, dicevamo. La prima novità di Master of the rings è proprio lui, con la sua timbrica rude, da cantante hard-rock o quasi blues, prescelto da Weikath proprio per queste sue caratteristiche forse anche al fine di prevenire ingenerosi quanto inevitabili (e talora pretestuosi) paragoni con l’ex golden boy Kiske, perfetto per il power helloweeniano ma purtroppo oramai non più interessato ad un genere che lui stesso non esiterà a definire “old-style-heavy-rock(?)” (e al quale comunque tornerà sporadicamente in seguito per motivi che i più generosi tradurranno come “regalo ai fans” e i maliziosi chiameranno “batter cassa”).
Ma lasciamo stare Kiske, e tutti i rimpianti che la sua dipartita ha comportato anche nel sottoscritto, e soprattutto dimentichiamoci di Chameleon, perché questo “Master of the rings” è tutto fuorché la continuazione delle sonorità di un album che una nota rivista dell’epoca definì “il disco che neanche Benny Hill…”. Master of the rings tenta di riavvicinare i fans storici, e in buona parte ci riesce. Ma non va del tutto sul sicuro: “Master…” ha indubbiamente una matrice power, abbiamo i tipici brani in doppia cassa quali “Where the rain grows” (con un superbo Kusch, altra novità in casa Helloween), abbiamo una classica intro “sinfonica” dal titolo che fa inequivocabilmente il verso ad un illustre passato, e ritroviamo anche i veloci assoli armonizzati che hanno fatto scuola… ma possiamo dire che brani – peraltro riusciti – come “Take me home” o “Mr.Ego” rappresentino il genere dei Keepers? Ciò che emerge in Weikath e soci è soprattutto la voglia di esprimere una “terza via dell’happy”, che unisce l’immancabile positività helloweeniana con un sound generalmente più roccioso (“Sole survivor” potrebbe essere una “Starlight” dotata di una potenza “nuova”), con qualche reminescenza hard’n’heavy (vedi anche l’hard-power dell’ottima “Secret alibi”), ma senza per questo dimenticare “chi sono e da dove vengono” (e che dire a proposito dei folli coretti “alla Rise and fall” presenti in “The game is on”, oppure del riff portante di “Still we go”?). Lo stile è pertanto, in definitiva, un power piuttosto originale, più consono e tagliato su misura al timbro vocale di Deris, il quale – va detto – sembra comunque trovarsi a suo agio anche nei panni dell’amabile “giullare birraiolo” (come definire altrimenti la sua interpretazione nella demenziale, gioiosa, “Perfect gentleman”?), riuscendo poi a ritagliarsi uno spazio più che dignitoso come autore, tra l’altro, del mid-tempo “Why?” e della ballad “In the middle of a heartbeat”.
“Master of the rings” è un disco che segna un nuovo punto di partenza per gli Helloween, da cui i nostri in seguito riusciranno a risalire progressivamente la china, fino a tornare ad essere fra i massimi protagonisti di un settore in cui, a fine anni ’80, dettavano legge.
Tracklist:
- Irritation
- Sole Survivor
- Where The Rain Grows
- Why?
- Mr. Ego
- Perfect Gentleman
- The Game Is On
- Secret Alibi
- Take Me Home
- In The Middle Of A Heartbeat
- Still We Go