Recensione: Matter of a Darker Nature
Dopo otto anni torna in pista uno dei gruppi storici del death metal turco, e cioè i Carnophage. Lo fanno con “Matter of a Darker Nature“, terzo album in carriera.
Il lasso di tempo suddetto non è di poco conto. Come tutti i generi e sottogeneri metal, il death è progredito in maniera quasi spasmodica alla ricerca di nuove strade da percorrere. Del resto, la spinta per cercare di diversificare in questo caso la musica fa parte della natura umana.
Natura umana che il quintetto di Ankara mostra con un ringhio pauroso. Il sound è difatti oscuro, buio, mortifero. Cioè, esattamente come dovrebbe essere nella concezione più ortodossa del death metal. Questione che viene affrontata con decisione, lasciando ampio respiro ai dettami di base del death stesso quando, ancora, era agli stati primari del percorso evolutivo.
Tant’è che Oral dipinge le linee vocali con tono stentoreo, tenendosi piuttosto distante da sonorità cattive come, ovviamente, il growling. Certo, l’indicazione è per quest’ultimo, tuttavia il modo di cantare è, né più né meno, quello che andava per la maggiore a cavallo degli anni novanta. Insomma, per dar vita a un esempio calzante, un vocalist à la Piotr Paweł Wiwczarek (Vader). Tanto, tanto polmone e un po’ meno ugola. Così, perlomeno, si possono comprendere i testi. Ma, astutamente, per agganciare la band alle modernità del terzo millennio inoltrato, ogni tanto spunta qua e là qualche botta di inhale. Poca roba.
La disamina puntale del modus operandi di Oral non è casuale, poiché in essa sono presenti i concetti di base dello stile del combo mediorientale. Concetti che sono tradotti in un riffing dal tono putrido, marcio, anch’esso perfettamente distinguibile dal lavorio degli altri strumenti. Una buona produzione non fa mai male ed ecco che recepire gli accordi di Mert Kaya e Serhat Kaya, gli axe-man, non è operazione particolarmente complessa. Un altro punto a favore dei Nostri, e che, in questo caso specifico, regala un sentore vintage all’odore di decomposizione emanato dal disco.
La sezione ritmica, invece, pare essere quella più al passo con i tempi, soprattutto per un uso massiccio dei blast-beats. Che, a parere dello scriba, rappresentano una maniera di approcciare la batteria con fare moderno. Onur Özçelik naturalmente non si ferma alle ondate travolgenti dei BPM sparati a mille. Anzi, al contrario, da un’ottima immagine di sé , essendo davvero molto incisivo nella costruzione di pattern estremamente complessi. Una complessità che apparentemente cozza con la linearità che anima il resto della band ma che invece vi si contorce attorno, per realizzare qualcosa di antico e di moderno allo stesso tempo. Forse a volte l’insieme risulta un po’ caotico ma tutto sommato non si tratta di un risultato fastidioso.
Come purtroppo accade sin troppo spesso, questo genere di act è ammalorato dal cancro del non saper comporre al di sopra di un approccio sostanzialmente scolastico alla questione. I Carnophage non sfuggono da questa tesi, proponendo otto brani non irresistibili, difficili da estrinsecare con l’aiuto dei neuroni per coglierne la differenza fra l’uno e l’altro.
Per questo preciso aspetto “Matter of a Darker Nature” sarebbe carente nella fase della composizione, tuttavia la bontà dello stile, questo sì, ben definito e riconoscibile, salva capra e cavoli.
Daniele “dani66” D’Adamo