Recensione: Maximum-The Journey Of A Billion Years
A volte la musica sa raccontare delle storie inverosimili e a tratti incredibili, storie che probabilmente nemmeno un genio visionario avrebbe mai fantasticato, ma che in fondo certificano, insieme a tanto altro, la bellezza e il fascino dell’arte del pentagramma. Quindi così un ranocchio può diventare un principe, così come Gregor Samsa (nel più celebre lavoro di Kafka) si sveglia trasformato in un insetto, così come un pezzo di legno cambia fino a diventare bambino passando da uno stadio intermedio fatto a sembianze di burattino e chiamato Pinocchio, così come il giovane Joe da ragazzo si trasmuta in guerriero della sua generazione nel capolavoro dei Timoria intitolato Viaggio Senza Vento, così come il professor Kepesh può trasmutarsi in un seno nel celebre racconto The Breast di Roth, così può capitare che una giovane band, spregiudicata e ambiziosa, decida di subire un processo di bizzarra e coraggiosa mutazione trasformandosi, da una “semplice” cover band dei Judas Priest, in una Progressive Metal Band molto interessante.
Questo è quello che fanno i romani White Thunder che con coraggio decidono di entrare in quel recinto spinoso, stimolante, difficile e competitivo del Progressive Metal italiano dove albergano altre band di alto valore che hanno alimentato un genere che, soprattutto nell’ultimo periodo, in Italia ha trovato terreno fertile.
Anche i White Thunder, come la maggior parte delle band Progressive Metal, alla dogana delle ispirazioni pagano dazio a Opeth e Dream Theater e questo è intuibile sin dal primo ascolto della loro ultima fatica musicale intitolata ‘Maximum-The Juorney Of A Billion Years’, ma nonostante ciò la band romana riesce a far emergere una nota di assoluto merito, vale a dire: la coerenza. Infatti in ‘Maximum-The Juorney Of A Billion Years’ nel rispetto del concept che rappresenta, che racconta la volontà di una persona di costruirsi una propria realtà svincolata dal giudizio delle masse e dei preconcetti, si possono ascoltare dei brani molto variegati ed emancipati da facili classificazioni. Questo, insieme alla qualità delle canzoni, della produzione, delle idee, ecc., rappresenta un punto di forza dei White Thunder.
A conferma di quanto appena scritto basti ascoltare i primi secondi del brano d’apertura, ‘Timeless Despise’, che si apre con un bellissimo esercizio Black Metal old school per poi approdare verso altri lidi musicali senza più tornare su quanto fatto in apertura. Oppure si potrebbe fare un chiaro riferimento a quei brani che sembrano scollarsi completamente dal genere dell’album per diventarne testimonianza di altri e a tal proposito basti ascoltare ‘Wait For The Sun’ che sarà successivamente analizzata.
L’album si caratterizza per la bellezza e l’originalità dell’apertura di ogni brano, anche se talvolta si ha la percezione che questa qualità sfumi verso stilemi e caratteristiche tipiche del genere e che quindi, per forza di cosa, devono essere necessariamente centrate.
Ascoltando il disco per intero, come accennato, il primo brano è ‘Timeless Despise’ che risulta variegato e con l’apertura centrale davvero godibile, peccato che il finale, come già detto, risulti forse troppo brusco. L’attacco con le chitarre in contrasto è un ottimo biglietto da visita: metal classico meets prog timing. La produzione è potente e compatta e punta molto sulla sezione ritmica e la scelta dà ragione alla band romana.
Il riffing di ‘Orbit’ (primo singolo uscito il 29 marzo scorso con relativo videoclip) è molto incisivo e si stampa in testa in poco tempo e anche i verse risultano molto interessanti. La coppia Alessandro De Falco e Jacopo Fagiolo alle chitarre è affiatata, i due duettano in modo fluido accompagnando Mattia Fagiolo al microfono; quest’ultimo è dotato di un ottimo timbro anche se forse troppo presente (per la natura dei brani) sui registri medio-alti.
Il brano ‘Trial’ parte in modo molto efficace e contiene uno dei chorus più riusciti di tutto il platter.
Intro a parte, molto old style, con ‘Mainmast (Craving Silence)’ i White Thunder raggiungono i livelli più alti del disco. I verse sono onirici, aleatori e coinvolgenti, complice la presenza di cori fuori campo e le belle parti di chitarra. Si entra nel mood vero e proprio con la potenza che contraddistingue il combo. Oseremmo dire che alcune vibrazioni ci ricordano quel capolavoro che fu ‘Shelter Me’ dei Fates Warning (da Inside Out del 1994) sia per atmosfere che per l’opposizione tra le parti soft e quelle in groove.
Come in parte anticipato, uno dei punti di forza dei White Thunder è l’incredibile capacità di scrivere degli intro molto interessanti, a prescindere da come si evolverà la song stessa; c’è da riconoscere che lo start in ogni track risulta davvero accattivante. Ne è l’ennesima conferma l’intro di ‘Everlasting Sight’, ma qui ovviamente non c’è solo quello, infatti in questo brano si trovano davvero tutte le sfaccettature del loro sound. Prog, Death, Thrash in un mix brillante e potente. I controcanti nella prima sezione sono il valore aggiunto del brano.
‘Wait For The Sun’ nasce come ballata per piano e voce, incredibile è la resa sonora iniziale che ricorda una piccola gemma (in alcuni passaggi strumentali) di una band importantissima del nostro panorama. Parliamo dei Time Machine e il brano in questione è ‘I Can Smile’, ovvero la chiusa di un disco (‘Act II: Galileo’ album del 1996) forse troppo avanti ai tempi della sua uscita. Tornando ai White Thunder la track si evolve in potenza e si collega alla seguente ‘Maximum’. Altro attacco interessantissimo e ispirato.
Seguono ‘Kúma’ e in chiusura ‘Away From The Sun (H_T_C_B_H_)’ che confermano la brillante prova dei White Thunder fino a definirli come una realtà musicale da seguire in futuro con interesse e attenzione.