Recensione: May our Chambers Be Full
I Thou di Baton Rouge, Louisiana, sono una delle realtà più consistenti della scena Modern Doom/Sludge statunitense. In quindici anni di attività hanno realizzato qualcosa come 5 full lenght, 13 EP e innumerevoli split. Dedita a uno Sludge/Doom radicale, la band è dotata di tecnica e creatività tali da consentirle di spaziare tra generi diversi e spiazzare il proprio seguito con uscite molto particolari. Ne sono esempi l’EP acustico “Rhea Sylvia”, che disvela l’anima più fragile e poetica del gruppo, o “Blessings of the Highest Order”, una compilation che raccoglie sedici cover dei Nirvana che, oltre a essere interpretate con grande personalità, hanno il merito di ricordarci quanto il sound del primo periodo del terzetto di Seattle fosse intriso di Sludge.
Emma Ruth Rundle è una musicista e artista visuale originaria di Los Angeles, ora residente a Louisville, Kentucky. Oltre ad essere attiva come chitarrista nel combo Post rock Red Sparowes e come cantante/chitarrista nella formazione Indie rock Marriages, dal 2011 Emma porta avanti il suo progetto solista che abbraccia sonorità che vanno dal Post rock all’Ambient, dal Folk al Dream pop e comunque sempre pervase da un’evidente venatura Dark. Il suo ultimo lavoro “On Dark Horses” è un esempio di come la “pesantezza” sia prima di tutto un attributo delle atmosfere evocate, che non necessariamente deve avere a che fare con suoni rumorosi e distorti.
Il sodalizio tra Emma Ruth Rundle e i Thou è iniziato all’edizione 2019 del Roadburn Festival, dove si esibirono in un live set collaborativo, per poi sfociare nella pubblicazione di “May our Chambers Be Full”, uscito alla fine dello scorso ottobre per Sacred Bones Records. Sebbene sarebbe ragionevole supporre che, per trovare un punto di sintesi, i Thou ed Emma Ruth Rundle abbiano dovuto “venire a patti”, adattandosi gli uni all’altra, o viceversa, dall’ascolto dell’album emerge immediatamente come gli artisti coinvolti nel progetto non si siano discostasti dalle rispettive formule espressive, ma come siano stati capaci di combinarle con maestria.
La proposta è rappresentata prevalentemente da uno Sludge/Doom monolitico che, ingentilito dalla voce soave della cantautrice, finisce per assumere in alcuni frangenti musicalità non troppo distanti da quelle della corrente più estrema del rock alternativo, un evidente punto di riferimento per questi musicisti nati nei primi anni Ottanta e che verosimilmente iniziavano a sviluppare la loro passione per la musica tra l’inizio e la metà dei Novanta. Così la opener “Killing Floor” e “Into Being”, aspre ed emotive al tempo stesso, si muovono tra Doom moderno e Alternative rock. I due vocalist eseguono le medesime linee, con la voce di Emma in primo piano che conferisce un notevole quantitativo di melodia, a cui rispondono i distanti growl di Brian, producendo un contrasto molto efficace. “Monolith”, come il titolo stesso sembra suggerire, è compatta e immediata e, con la sua andatura incalzante, è il brano più veloce dell’album.
“Out of Existence” e “Ancestral Recall” seguono schemi abbastanza simili, che alternano momenti Post rock, in cui canta Emma, a passaggi Sludge, in pieno stile Thou. Se la prima parte di “Magickal Cost” lascia trasparire appieno l’amore dei musicisti per il Seattle sound, la seconda degenera in uno Sludge granitico, con un finale di grande effetto in cui l’aggraziata voce femminile, le urla disperate di Brian Funck e la musica feroce si fondono perfettamente. La lunga closer “The Valley” è, per gran parte della sua durata, in linea con il back catalogue di Emma: pacata e intimista, si distingue per le atmosfere Dark e Folk (queste ultime create da un violino irlandese). Segue un breve passaggio in cui un Doom granitico prende nuovamente il sopravvento, per poi lasciare a soffici note di violino la chiusura dell’album.
Per quanto la proposta rimanga estrema, la componente melodica apportata da Emma Ruth Rundle, la qualità esecutiva e del songwriting e la durata contenuta rendono “May our Chambers Be Full” un disco potenzialmente fruibile da una platea diversificata, composta, oltre che dai seguaci del Doom, anche degli appassioni di generi come Post rock/metal e l’Alternative rock. La produzione è essenziale (del resto i Thou abbracciano da sempre l’etica DIY e lo stesso si può dire per la loro compagna d’avventura), ciononostante il lavoro fatto per ricercare il corretto bilanciamento tra le voci ha una resa davvero notevole. Interessante anche l’artwork, realizzato in collaborazione con il fotografo di New Orleans Craig Mulcahy, che rappresenta una figura umana dal volto indefinito e che trasmettere quel senso di indeterminatezza e precarietà che emerge anche dalla musica.
“May our Chambers Be Full”, frutto della collaborazione tra artisti ancora piuttosto giovani, ma che hanno raggiunto uno status rilevante e consolidato all’interno dei generi di appartenenza, si rivela del tutto in linea con le aspettative: un album che va ben oltre alla semplice somma delle parti che lo compongono e che propone un sound personale, ma desideroso di mostrare la giusta riconoscenza alle proprie radici.