Recensione: Mechanical Resonance
Mehanical Resonance rappresenta, senza troppi giri di parole, un capolavoro dell’hard ‘n heavy a stelle e strisce degli anni ’80, prima ancora che il debut album di una giovane band destinata a diventare esponente di punta della scena losangelina dell’epoca.
I Tesla, a dispetto della scarsa notorietà accusata nel vecchio continente, erano (e in certa misura continuano ad essere) una band dai grandi numeri oltreoceano, capace di piazzare un paio di singoli in top ten e tutti gli album da studio finora pubblicati entro le prime 30 posizioni della classifica americana oltre che di inaugurare il filone dei live unplugged che fece furore durante tutti gli anni ’90 con lo storico ‘Five Man Acoustical Jam’.
L’album si sviluppa, lungo tutta la propria durata, attorno alle medesime coordinate stilistiche a cavallo tra hard rock e street metal, una ricetta che comprende vocalizzi lancinanti di scuola Plant/Tyler, chitarre affilate come rasoi e forti dosi di melodia ben impregnata di blues e di lontani echi southern; dodici inni ribollenti di un fascino arido e desertico perfettamente compendiato dalle veementi cascate metalliche partorite dalle chitarre di Tommy Skeoch e Frank Hannon, il cui vero filo conduttore è rappresentato da sudore, grinta e da una carica senza limiti che traspare da ogni singola nota sparata a tutta a forza dalle casse dello stereo.
La qualità media delle composizioni si mantiene sempre su livelli di eccellenza, e altrettanto stupefacente risulta essere la quasi totale mancanza di filler durante gli oltre 50 minuti di musica proposti; la maggior parte dei pezzi si gioca su velocità sostenute e ritmiche dirompenti, tendenza che si palesa immediatamente con lo sfavillante binomio d’apertura e che sarà il leit motiv di un album con poche concessioni a ritmi più blandi e magari “vendibili”.
‘Ez Come Ez Go’ è un opener carica e veloce che si fa strada in mezzo alla pioggia di scintille scaturite dalle due asce e nella quale emerge prepotentemente il cantato di Jeff Keith: disperato, graffiante ed aggraziato come lo stridere del gesso su una lavagna nell’alternare soffusi lamenti ad accelerazioni selvagge e incontrollabili; l’altrettanto dinamica ‘Cumin’ Atcha Live’ è aperta da un duello incrociato tra Skeoch e Hannon, impegnati in acrobazie di VanHaleniana memoria che spianano la strada ad un irresistibile riff punkeggiante contrappuntato da vocals nervose e isteriche e da vertiginose scalate lungo i manici delle chitarre.
Si continua a spingere sul pedale dell’acceleratore con una manciata di canzoni sfavillanti e pronte ad esplodere come le seguenti ‘2 Late 4 Love’ e ‘Rock Me To The Top’, mentre gli unici (apparenti) accenni di tregua paiono giungere con le splendide semiballad ‘No good together’ e ‘Gettin Better’ nelle quali sale alla ribalta il lato più romantico e decadente della musica dei Tesla, grazie a melodie sofferte che riportano un po’ alla mente le ballate sgraziate e vissute dei gruppi della scena street/glam.
‘Modern Day Cowboy’ è una hard rock song di grande impatto, molto legata all’immaginario western nonchè hit-single di buon successo che, con la spettacolare ‘Changes’, altra semiballad dal flavour malinconico in cui si alternano strofe disperate e un refrain travolgente introdotto da un breve stacco di pianoforte, rappresenta con buona probabilità l’apice della scaletta nonostante, come detto in precedenza, operare una scelta in mezzo a tanta magnificenza sia impresa quanto mai ardua.
Si prosegue con ‘Little Suzi’,cover dei Ph.D aperta da una fantastica intro acustica e segnata da marcate influenze zeppeliniane e con la successiva ‘Love Me’, mid tempo dagli accenti settantiani con Jeff Keith in grande spolvero; ‘Cover Queen’ e ‘Before My Eyes’, quest’ultima forse l’unico (leggero) calo di tono in tutto l’album, rappresentano la degna conclusione di un capitolo fondamentale nell’evoluzione dell’hard ‘n’ heavy e nella riscoperta di sonorità discendenti dalla tradizione hard/blues della decade precedente, miscelate in maniera esplosiva con la furia metallica tipica degli 80’s in un lavoro che costituì solo il primo mattone di una lunga e fortunata carriera che prosegue con successo ancor oggi, a più di vent’anni di distanza dall’uscita di ‘Mechanical Resonance’.
Stefano “Joey Federer” Burini
Tracklist
1. Ez Come Ez Go
2. Cumin’ Atcha Live
3. Gettin’ Better
4. 2 Late 4 Love
5. Rock Me To The Top
6. We’re No Good Together
7. Modern Day Cowboy
8. Changes
9. Little Suzi
10. Love Me
11. Cover Queen
12. Before My Eyes
Line Up
Jeff Keith – Voce
Frank Hannon – Chitarra
Tommy Skeoch – Chitarra
Brian Wheat – Basso
Troy Luccketta – Batteria