Recensione: Mechanical Resonance Live
Un album dal vivo dei Tesla. E non puoi non andare coi ricordi a quel Five Men Acoustical Jam che nel 1990 ebbe un enorme, e imprevisto, impatto sul mondo della musica. Quella istintiva rivisitazione in chiave acustica di pezzi hard rock diede, infatti, il via a una lunga teoria di progetti simili, che nel giro di pochi anni affollarono i negozi di dischi e il palinsesto di MTV. La svolta intimistico-impegnata dell’hard rock a inizio anni novanta, che ebbe nel movimento grunge il proprio esempio più noto, passò anche da sgabelli, chitarre acustiche, batterie leggere leggere e pubblico limitato.
Il successo di Five Men non fu dovuto solo alla perfetta tempistica della sua pubblicazione, ma anche alla qualità delle sue canzoni e della band che le eseguiva. Tratti dai primi due album dei Tesla (Mechanical Resonance, del 1986, e The Great Radio Controversy, uscito tre anni dopo), i pezzi di Five Men rappresentavano il perfetto anello di congiunzione tra i due decenni: troppo poco vacui per essere completamente ottantiani, ma sufficientemente scanzonati per non scadere già nei novanta.
Fu proprio Mechanical Resonance a imporre immediatamente al mondo l’immagine di una band che non poteva (e non voleva) essere annoverata nel calderone glam metal, ai tempi imperante. Quel disco, infatti, presentava un hard rock ricco di un groove talmente caldo e “presente” da suonare distantissimo dalle molte iperprodotte produzioni plastificate dell’epoca. Inoltre, i ragazzi di Sacramento non vestivano da rock star luccicanti e, realmente, sembravano cinque di noi sul palco: insomma, Troy Luccketta non è mai stato Tommy Lee.
Sono passati trent’anni da quel debutto e i Tesla celebrano l’anniversario con un album dal vivo che ne ripropone i contenuti nella loro interezza. Registrato a Salt Lake City, il disco include, infatti, l’esecuzione di tutti i brani di Mechanical Resonance, pur proposti in una scaletta alterata.
Fa, dunque, piacere ascoltare grandi classici della band accostati a pezzi mai proposti dal vivo e che gli anni avevano nascosto nel dimenticatoio. Non è possibile non emozionarsi quando la voce di Jeff Keith avvia Gettin’ Better. Non si può non godere dello stellare duetto di chitarre di Comin’ Atcha Live, che prelude allo scoppio del celeberrimo ritornello. Non si resiste a quel lontano e vivissimo riff che apre Rock Me To The Top. Ci si chiede perché un pezzo eccezionale come Changes, così caldo e dinamico, non abbia avuto più fortuna. E così via, fino al finale in crescendo con Modern Day Cowboy, vero inno e tra i simboli di quel 1986.
A suggello del disco, infine, ecco una traccia inedita da studio. Intitolata SaveThat Goodness e scritta da Phil Collen dei Def Leppard, non nasconde il proprio autore, pur calzando bene alla band americana.
I Tesla suonano, ovviamente, benissimo, sapientemente in equilibrio tra pulizia esecutiva e feeling. Il rock degli americani (e la voce di Jeff) è sempre, volutamente, un po’ sporco, quasi a voler ribadire la presenza umana dietro a suoni e arrangiamenti. Forse, il rock è proprio questo.
La produzione non è levigata, frutto di una scelta che sembra consapevole, al fine di preservare il gusto dell’evento live. A voler fare le pulci, diremo che la voce ha forse troppa presenza, la base ritmica, vera arma segreta dei Tesla, è un poco sacrificata e il pubblico si fa sentire solo nelle pause: ma sono tediosi dettagli da recensione.
Certo, si tratta di un disco per appassionati della band, del genere e del periodo. Chi non ha consumato i solchi del vinile di Mechanical Resonance troverà in questo live un buon prodotto hard rock, che forse perderà nella numerosa massa dei prodotti odierni. Chi, invece, ha avuto la buona sorte di essere lì in quegli anni o di crescere talmente bene da averne recuperato le gemme a distanza di tempo, non potrà non apprezzare il disco.
Va detto: c’è sapore di operazione revival. Ma non potrebbe essere che così. Il 1986 fu un anno eccezionale per il mondo dell’hard rock e del metal, con l’uscita di prodotti che avrebbero fatto la storia di entrambi i generi. Qualsiasi album che oggi riproponesse i contenuti di una di quelle gemme lascerebbe all’ascoltatore un velo di nostalgia, un gusto di spleen che fa ancora una volta alzare il volume alle prime note della eccezionale, triste e così tanto rock We’re No Good Together; e fa sentire vivi, mentre si rotea per l’ennesima volta la testa, si finge di suonare una chitarra e si ringrazia d’aver avuto la fortuna di incocciare nei Tesla.