Recensione: Mechanical Spin Phenomena

Di Alberto Fittarelli - 29 Luglio 2003 - 0:00
Mechanical Spin Phenomena
Band: Mnemic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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84

Ed ecco il debutto della Nuclear Blast nelle nuove sonorità americane: la storica label, ormai cresciuta a dismisura da diversi anni, si smuove dal settore propriamente metal (dopo essere fuoriuscita da tempo dai confini dell’estremo) per rivolgersi agli ibridi rock/metal che tanto sembrano piacere agli statunitensi; e per fortuna azzecca in pieno il colpaccio con una band tutta europea e di grande valore: i debuttanti danesi Mnemic.

Diciamo subito che non siamo di fronte ad un clone di gente da charts, ma a ragazzi che basano il loro più che robusto sound su una sezione ritmica che sembra essere stata rapita ai Meshuggah più dinamici, dato che i tempi dispari e la complessità delle strutture sembrano essere la componente fondamentale delle loro composizioni: su di essa si inseriscono parti di keys e samples che vogliono creare un effetto ‘spaziale’, dando maggiore ariosità al tutto, e soprattutto una vena melodica portante fornita soprattutto dal cantato di Michael Bøgballe, la cui voce risulta carismatica e abbastanza personale da evitare, almeno nelle aperture con timbrica ‘pulita’, il confronto immediato con altri singers del genere.
E le canzoni dimostrano spessore da vendere, con il quartetto iniziale sugli scudi: la prima Liquid mostra già cosa può fare il gruppo, ma, basandosi su una traccia vocale spezzata, mutuata dal suono più ‘mainstream’, risulta ancora poco rappresentativa; sembra quasi che la band si diriga su lidi troppo superficiali per poter essere apprezzata a pieno. E’ con la successiva Blood Stained che il risultato cambia nettamente, anche se siamo ancora su territori decisamente accessibili, dato che la canzone è dotata del ritornello più melodico e di facile presa del disco; ciò non toglie che la scelta dei suoni, i singoli arrangiamenti e la canzone presa nel suo insieme siano davvero da apprezzare.

Menzione d’onore soprattutto al batterista Brian Rasmussen, che sembra aver mangiato pane e Meshuggah per anni (e questo serve anche a far capire l’influenza che sta avendo sulle ‘nuove leve’ di questo sound la band svedese): i suoi patterns contorti ma precisi sono responsabili anche dell’alta qualità delle altre tracce, a partire da Ghost (primo videoclip) e soprattutto DB’XX’D, la più complessa, che passa da ritmiche quadrate e potenti a sprazzi di melodia che mi hanno ricordato, specie nel finale, i Fear Factory di Demanufacture. Ottima traccia, forse l’apice dell’album. Album che però non fa una piega neanche nelle canzoni seguenti: Tattoos, malinconica e rallentata, The Naked and the Dead, all’estremo opposto per velocità e carica; ed il trittico finale di Closed Eyes (che inizia con una parte quasi clonata da Destroy Erase Improve, arpeggio pulito sotto a stoppate irregolari), della title-track, più USA-oriented e decisamente rockeggiante, con Burton C. Bell che fa capolino più di una volta nella voce di Bøgballe, e l’outro Zero Gravity che chiude il disco degnamente, con lontani rumori di stampo industriale e riffs lenti e dilatati.

Mechanical Spin Phenomena è quindi un disco che va ascoltato senza alcun pregiudizio, per poter riconoscere le effettive qualità del combo: a me è piaciuto parecchio, anche se dopo svariati ascolti utili a scremare qualche preconcetto ed a notare la validità delle canzoni. Che poi questo disco venda 100 o 100.000 sinceramente mi interessa poco, ma qui dentro alberga tutta una seria di backgrounds metal che non va assolutamente ignorata, anche se bisogna considerare che tutto è proposto in una chiave decisamente moderna, con suoni tanto perfetti da far risultare il prodotto finale un po’ “plastico”: ma non c’erano alternative per una band di questo tipo, ed il risultato finale è la prova che ne è comunque valsa la pena.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

01. Liquid 
02. Blood Stained 
03. Ghost 
04. DB’XX’D
05. Tattoos 
06. The Naked And The Dead 
07. Closed Eyes
08. Mechanical Spin Phenomenon 
09. Zero Gravity

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