Recensione: Mefisto Manna
I Nerocapra nascono a Torino nel 2003, qualche anno più tardi, nel 2007, ecco uscire il loro primo demo che gli vale un contratto con F.O.A.D. Records per l’uscita del loro full-lenght d’esordio intitolato “Vox Inferi“, datato 2011. Un paio d’anni dopo è la volta per fare il bis con questo “Mefisto Manna“, del 2014.
In un periodo in cui sembra diventato di moda dare un nome al sound che si suona, anche se magari poi è uguale a quello di mille altre band, come se fosse un nuovo genere a sé stante, anche i Nerocapra si accodano al trend e definiscono la propria musica come Primordial Metal. In realtà bisogna ammettere che, al contrario di tanti altri gruppi, in questo caso c’è ben più di un fondo di verità in questa scelta.
Se infilaste il CD nel lettore alla cieca e schiacciaste PLAY, la prima cosa che pensereste nell’ascoltare le note che escono dalle casse è di aver beccato a caso dalla vostra collezione un disco dell’inizio degli anni ’90. Non riconoscendo al volo le canzoni, magari pensereste al demo di una band misconosciuta che acquistate ai tempi e che, per un motivo o per l’altro, poi avevate perso di vista. Questo è esattamente l’effetto che fanno i Nerocapra, un vero e proprio salto indietro nel tempo di 20/25 anni, ai primordi del metal estremo.
Dunque quale nome migliore se non Primordial Metal?
Nome azzeccato, dunque, per definire il sound sfoggiato dal gruppo torinese che è un mix di black, death e thrash d’inizio anni ’90, insomma, non esattamente qualcosa di nuovo, ma in questo caso non è tanto il cosa, ma il come a dar valore alla proposta. Voce in screaming al vetriolo, chitarre che fanno l’occhiolino agli Slayer e ai Venom e produzione da garage dei genitori (anche se si tratta di una mezza finta), come nella più classica tradizione del black scandinavo. Il tutto unito a testi in italiano che non stonano per niente nella proposta complessiva.
I dejà-vù sono un po’ all’ordine del giorno lungo tutta la tracklist, ma non inficiano in alcun modo l’ascolto. Al contrario rendono le canzoni simili a qualche vecchio vestito, un po’ liso, ma che si adatta perfettamente alle nostre forme, tanto comodo per tutti gli usi.
Ad aprire le danze ci pensa “Fame d’Aria“, a base di una vera e propria aggressione sonora che fa subito capire di che pasta sono fatti i Nerocapra. La successiva titletrack, “Mefisto Manna“, rallenta un po’ certi ritmi, per poi virare più verso il thrash classico, mentre con “Urla di Strappi” tornano i blast beats black a farla da padrone.
“Putrefazione” è un lungo interludio strumentale che accompagna gli strumenti con suoni campionati, urla di sottofondo, echi gelidi ed inquietanti, che spezza idealmente in due la scaletta.
I tre pezzi a seguire sono un’unica rincorsa verso la fine, tra cui spicca in particolare la breve “Cerchi” (la canzone più corta del lotto) che vira maggiormente verso il death.
La produzione, come dicevamo, è povera a ricordare quelle approssimative delle band underground dei primi ’90. In realtà ci sembra che dietro vi sia una precisa scelta, visto che una certa confusione sonora sembra selettiva a riguardare solo alcuni suoni e strumenti o solo alcuni frangenti delle canzoni. Le chitarre, infatti, sono molto impastate in alcuni passaggi e più pulite in altri, mentre la batteria gode di una buona produzione per tutta la scaletta.
Per concludere, “Mefisto Manna” è una buona uscita, addirittura ottima dal punto di vista dei fan di certe sonorità. I Nerocapra giocano in maniera vincente la carta old but gold, sfornando un album che è il sogno retrò di molti appassionati. Operazione riuscita, dunque, ma non lasciandoci accecare troppo dall’effetto nostalgia, non possiamo non rilevare che di originale c’è ben poco. Tutto suona di già sentito e pur trattandosi di un già sentito che ci piace, e tanto, non possiamo che tenerne conto a livello di valutazione. Insomma, i Nerocapra sono sicuramente promossi, ma ci aspettiamo che riescano a coniugare ancor meglio le sonorità vecchio stile che sono divenute il loro marchio di fabbrica, con una maggiore personalità e originalità in sede di songwriting, in fondo le qualità per riuscirci le hanno e l’hanno dimostrato.
Alex “Engash-Krul” Calvi