Recensione: Megalomania
L’ego dei tedeschi Kissin’ Dynamite si espande – è Megalomania!
La megalomania (dal greco μεγαλομανία) è uno stato psicopatologico caratterizzato dalle fantasie di ricchezza, di fama e di onnipotenza. La parola deriva da due parole greche: megas (grande) e “mania” ovvero ossessione. Questa patologia mentale è certe volte sintomo di disturbi paranoici e maniacali. (wiki)
Siamo già al quarto album per questa band decisamente ambiziosa ed affamata di pubblico, per quanto ancora giovanissima: si consideri che il carismatico frontman Johannes (Hannes) Braun è classe 1992. Il genere proposto dai tedeschi è un hard rock/glam anni ’80, parzialmente influenzato in questo lavoro da effetti elettronici e synth. Basta contemplare per qualche istante un’immagine promozionale della band od osservare il loro modo istrionico di porsi sul palco per entrare nell’atmosfera folle ed estrema della loro musica: cantori dell’eccesso mondano, tra il sound variopinto e sbruffone dell’hard rock e la superba durezza del metallo.
Già dal singolo “DNA” (video) era palese il desiderio di evoluzione della band. La voce di Hannes si fa più roca e “maschia” rispetto a quanto ascoltato in passato, l’elettronica si infila prepotentemente tra una strofa e l’altra ed il brano fila liscio con piacevolezza, anche se fa storcere il naso ad alcuni puristi.
Niente male anche la successiva “Maniac Ball”, arrogante nella linea vocale, a ritmi lenti, sempre molto semplice nella struttura ma d’effetto.
La situazione purtroppo degenera abbastanza in fretta: si susseguono pezzi abbastanza anonimi, tipo “VIP in Hell”, brano incentrato su un solo riff che sembra non avere alcun pregio, o “Deadly” che si fa ricordare solo per l’intro con la voce effettata e per il fatto che dura poco. “Running Free” non è una cover dei Maiden, ma in compenso ha un ritornello davvero pessimo, che si salva leggermente sul finale grazie alla produzione, in una buona sinfonia tra chitarre acustiche e crescendo fino alla doppia cassa.
“Legion of the Legendary” è finalmente un brano in linea con la filosofia del disco: c’è un po’ di elettronica, un po’ di superbia, un ritornello incalzante ed un buon assolo, tutto in stile Steel Panther: la carica giusta che ci si aspetta dai Kissin’ Dynamite.
Molto buone anche le ballad: “Fireflies” (video) è maestosa, lirica e romantica nella sua semplicità, “The Final Dance” un po’ sotto ma potrebbe essere comunque un discreto pezzo alla Bon Jovi.
Poco di altro da segnalare, purtroppo ed in tutto questo niente di così grandioso.
La megalomania è una patologia mentale che sovente non ha nulla a che vedere con la realtà, di fatto molto più modesta della sua immagine, ed i ragazzi sembrano esservi piombati con scarsa (auto)consapevolezza. Tanto che di quest’album si salva ben poco: a parte qualche pezzo divertente si potrebbe lodare soltanto la produzione molto certosina e compatta. Ci si aspetta ben altro dai Kissin’ Dynamite. I testi sono di una banalità disarmante, anche a dispetto di quanto di buono e geniale visto nei lavori precedenti, tanto che i nostri non riescono neppure ad essere ‘cattivi’, ‘megalomani’ o molto più semplicemente coerenti con le loro stesse provocazioni. Ritornelli da dimenticare. Nel sound si ha l’impressione che si sia preferito coprire le evidenti lacune e la mancanza di idee con qualche effetto elettronico giusto per dare l’impressione di un’evoluzione in chiave contemporanea, per poi salvarsi in corner con delle ballad abbastanza classiche. Dopo qualche ascolto viene quasi voglia di rispolverare il precedente “Money, Sex and Power” (2012), decisamente su un altro livello.
Questa è una band dal potenziale enorme, forte e carismatica sul palco, ed è un peccato vederla così sottotono su disco. Per quanto si possano avere pareri soggettivi sulla superbia e sulla ‘sboronaggine’, anche l’ego è un’arma che va accuratamente calibrata.
Prescriverei ai Kissin’ Dynamite qualche seduta dall’analista.
Luca “Montsteen” Montini