Recensione: Mejor Morir En Pie
Riponevo negli Stormwarrior tedeschi e nei Tierra Santa spagnoli le mie speranze di risurrezione dell’HM classico: li consideravo gli unici gruppi in grado, nel tempo, di raccogliere l’eredità dei grandi del passato (Saxon, Judas Priest, Running Wild e Motorhead) e di potere un giorno assurgere al livello di headliner in un grande festival internazionale. Dopo la debacle dei primi nel 2004 con Northern Rage, un sufficiente disco di HM che scimmiottava gli Helloween e nulla più, puntuale è arrivata la seconda delusione, ovvero questo Mejor Morir en Pie dei Tierra Santa, targato 2006.
I Nostri, dopo una prima parte di carriera ispirata totalmente alle punte di diamante della Nwobhm, hanno poi sterzato leggermente in territori legati all’hard rock di stampo melodico, e fin qui tutto bene. Il problema risiede nella modalità con la quale si effettuano questi cambiamenti: non è possibile che di colpo la potenza sprigionata originariamente dagli iberici se ne sia volata via in un batter d’occhio. Mejor Morir en Pie è terribilmente moscio nell’approccio globale e deludente nei brani: la chitarra di Arturo pare stoppata così come la sezione ritmica di Inaki e Roberto. La voce di Angel non è da meno, solo in brevissimi sprazzi richiama l’illustre passato dei Tierra Santa, il resto è da dimenticare.
Mi rendo conto di essere particolarmente duro con gli spagnoli ma, parafrasando il ciclismo, è come se di netto Ivan Basso si mettesse ad andare come l’ultimo dei gregari, accumulando ritardi su ritardi a ogni tappa. I Nostri hanno la stoffa dei campioni, e lo hanno ampiamente dimostrato gli anni scorsi, tanto da divenire nel tempo le punte di diamante dell’HM iberico, insieme ai Mago de Oz, raccogliendo l’eredità di band come Baron Rojo e Heroes del Silencio.
Onestamente c’è poco da salvare in questo disco: le sole La Impureza de la Amistad e La Tentaciòn riportano ai fasti dei tempi che furono, le altre canzoni non trasmettono emozioni e scorrono via senza lasciare traccia alcuna. L’interpretazione anonima della bonus track Himno a la Alegria, cover dell’Inno Alla Gioia di Beethoven, peggiora ulteriormente la situazione e non riesce a sollevare le sorti di questo disco, dal quale mi aspettavo molto ma molto di più.
Che le cose non funzionassero a dovere lo avevo arguito già dal titolo, inequivocabile nella sua immediata traduzione: Mejor Morir en Pie non verrà mai più riascoltato da chi scrive, è destinato a “fare spessore” nella mia discoteca, come parecchie altre uscite contemporanee.
Non so voi, mai io mi fiondo immediatamente a risentirmi Sangre de Reyes, per tirarmi su il morale… la delusione è forte!
Stefano “Steven Rich” Ricetti