Recensione: Melas Oneiros

Di Daniele D'Adamo - 13 Febbraio 2025 - 16:30

Ephialtes B-side dei Devilish Impressions? Sembrerebbe proprio di sì, poiché Przemysław Olbryt, per dar vita ai primi e pertanto per realizzare il debut-album “Melas Oneiros“, ha pescato dai secondi Marek Tuskowski (basso) e Adam Niekrasz (batteria). Oltre a se stesso, ovviamente.

Genere? Melodic blackened death metal. Almeno, così recitano le note biografiche. Il che significa che si è arrivati al punto di definire dei sotto-sotto-generi, operazione a parere di scrive assurda poiché così facendo si arriverebbe, per ipotesi, a una definizione singola per ciascuna band. E a proposito di note biografiche, è un po’ raggelante la spiegazione del significato di ἐφιάλτης, nome greco che rimanda agli incubi. Personificati come esseri che si arrampicano sul corpo di una persona addormentata. Horror puro, quindi.

Il quale, ovviamente, si riverbera ma non troppo nella musica, a cominciare dall’agghiacciante intro “Ad Patres” che dà il là al disco. Il death del combo polacco, e sottolineo death senza altri aggettivi, è duro, compatto, molto pulito, si direbbe chirurgico nell’esecuzione dei vari passaggi. Una constatazione, questa, che non deve stupire dato l’alto tasso tecnico/artistico dei tre protagonisti.

Olbryt – davvero in gamba con la propria ugola – raschia la gola con un misto di growling/harsh vocals molto efficace e piuttosto personale. Le relative linee vocali, che comprendono anche la voce pulita, sono assai varie e, nel condurre la musica per mano, risultano costantemente piacevoli da sfiorare, da accarezzare.

Per poi focalizzarsi sulla musica vera e propria che, se si vuole proprio appiopparle una definizione, rientrerebbe nel calderone del melodic death metal. Ma non di quella solito, convenzionale, trito e ritrito della tipologia gothenburghiana, per intendersi. Qui, l’innesto della melodia e dei ritornelli tali da rendere i brani accattivanti per un verso o per l’altro (“In Her Embrace Again“) è molto semplice, diretta, che va subito al sodo.

Brani a volte devastati dalla bestiale furia dei blast-beats, ma che tuttavia non perdono la loro intrinseca attitudine all’orecchiabilità, come la stupenda “Homo Deus“, devastante attacco dall’elevatissimo numero di watt. Potenza, potenza e ancora potenza per una piacevolezza d’ascolto notevole.

Un essere catchy che chiaramente non ha nulla da vedere con il melodic rock et similia. No, le armonizzazioni pescano direttamente dal luogo in cui nascono gli incubi. Un tocco noir che rende l’LP ulteriormente attraente e che, in qualche modo, rammenta l’EP “N.O.I.R.” dei defunti Crionics (ex-band di Olbryt). Un alone di cupa foschia creato, anche, dal tastierista di sessione Marcus Edvardsson.

Insomma, un modo di interpretare il metal estremo accostando la massima velocità possibile ad ardite armonie per un insieme di canzoni che, per definizione, non possono generare alcun segmento tedioso. Anche perché le varie melodie sono ricercate, studiate, forse immediate, nella mente Olbryt. Non si sa. Quel che si sa è che a un sottofondo ritmicamente possente, creato dalla strumentazione elettrica e non, nel quale non sono rari terrificanti stop’n’go da eruzione vulcanica, viene eretta una struttura parimenti monumentale ma abbellita da una quantità enorme di entità soavi a volte sorprendenti, come accade nella ridetta “Homo Deus“, a questo punto battezzabile come hit (sic!) del full-length.

Full-length che necessita di più di un ascolto per essere recepito e metabolizzato al meglio. Il continuo passare da furia scardinatrice ad armonie in certi momenti addirittura celestiali può confondere. Tuttavia, gli Ephialtes sono una formazione super-adulta benché formatisi nel 2022, questo in virtù della presenza di membri dalla grande preparazione tecnica ed esperienza, per cui… tutto può succedere!

Daniele “dani66” D’Adamo

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