Recensione: Melinoë
L’Orfismo è un movimento religioso nato in Grecia attorno al VI secolo Avanti Cristo e dedicato alla figura di Orfeo; in uno degli Inni Orfici viene invocata Melinoë, una ninfa portatrice di follia ed incubi, il cui nome potrebbe derivare da mēlinos (“dal colore di mela cotogna”). I frutti giallognoli, per i greci, ricordano appunto il pallore di malattia e morte.
Il nome Akhlys dovrebbe far rizzare le antenne a molti e risvegliare la massima attenzione; non è uno qualsiasi dei tanti progetti di Naas Alcameth ma con molta probabilità è la sua massima espressione artistica. Il nome è partito un po’ in sordina nel 2009, con quel Supplication che tanto rimandava agli Abruptum di Obscuritatem Advoco Amplectère Me. The Dreaming I nel 2015 fu poi un boato totale, diventato nel tempo un capolavoro. Melinoë porta nel 2020 un incubo nell’incubo e, di aspettare cinque lunghi anni, ne è valsa sicuramente la pena.
L’eziologia del sonniloquio (il parlare nel sonno) si assesta su stress emotivi, febbre, depressione e può capitare sia in fase NREM che in fase REM. Una volta entrati nell’ottica di un delirio di questo tipo, premete play, e preparatevi all’urto.
Dream, Dream, Dream, Dream of the night
Si arriva al ritornello più potente dell’anno con una ferocia e una potenza di suono inaudite; la violenza, la malattia e il disagio che escono dalle casse sono un’entità annichilente, in grado di polverizzare tutto. Eoghan dietro le pelli, già presente in Aoratos è un’arma di distruzione di massa e lo scream di Naas Alcameth è in grado di far scendere sulla Terra Lucifero in persona per cercare di capire cosa stia succedendo. Il riffing cambia le carte in tavola alternando i classici tremolo a scale cromatiche e offrendo una prestazione da abc della dissonanza. Complice una produzione che migliora The Dreaming I e fa sembrare Melinoë registrato all’Inferno, il primo dei cinque brani proposti andrebbe sottoposto all’attenzione di Hidetaka Miyazaki come colonna sonora ideale per una bossfight di un soulslike a caso.
Una delle possibili traduzioni di Pnigalion è incubo, un’altra paralisi del sonno. A livello tematico il disco rimane comunque coerente e serve il suo brano più lungo, che va a sfiorare i tredici minuti. L’intro è piuttosto lenta e disturbante, prepara un limbo che, dopo una lunga pausa, esplode in tutta la sua cattiveria. Le coordinate stilistiche rimangono pressoché invariate e anche qui si aggiunge un altro tassello a un mosaico che assume dimensioni sempre più titaniche. Il riffing è ancora di altissimo livello: dalle armonizzazioni alle dissonanze, dal suo fare circense alla melodie che qui iniziano timidamente a fare capolino. Il brano è geniale nell’alternarsi delle sensazioni e passa dall’ombra alla luce all’ombra ancora come appunto un brutto sogno.
Succubare è un verbo latino che significa “giacere sotto”, dal quale deriva il sostantivo succuba, che era uno spirito maligno dalle sembianze di donna e che aveva il compito di disturbare il sonno delle persone. Il brano è posto in maniera saggia al centro della tracklist e fa da spartiacque tra la prima e la seconda parte dell’opera. Qui torniamo al 2009 e ci ricordiamo come la componente ambient sia ancora parte fondamentale e valore aggiunto di Akhlys.
Ephialtes, oltre ad essere un pastore famoso per aver tradito Leonida durante la battaglia delle Termopili, letteralmente significa incubo. Si ritorna a suonare black metal e non si cede di un millimetro; anche questo brano è un diesel ma col turbo. Appena dà gas scoppia tutto e va ai mille all’ora con una ferocia che non è mai fine a se stessa; pazzesco il break centrale, dove prima sembra trovare la quiete poi annienta qualsiasi cosa. Melinoë è un disco cattivo, pericoloso, è qualcosa che arriva a smuovere sensazioni oscure e malsane e concettualmente demolisce l’accezione pacifica del mondo onirico, costringendo a trovare la vita stessa un luogo più sicuro.
Incubatio si rapporta all’incubazione, che è una pratica religiosa che prevedeva di dormire in un’area sacra con lo scopo di praticare oniromanzia o ricevere cure o benedizioni. Il rito sembra risalire addirittura ai sumeri, e nell’antica Grecia veniva praticato dai membri del culto di Asclepio. Si parte con un paio di minuti di puro ambient per poi esplodere come siamo ben stati abituati finora. Il brano è però il più melodico e il più “morbido”: le melodie diventano più lineari e meno disturbanti, sembra quasi di intravedere una speranza in fondo al tunnel e gli stacchi finali sembrano quasi rimarcarlo, come se tutto il negativo lentamente scemasse in favore del giusto risveglio.
Melinoë rappresenta tutto ciò che un amante del black metal potrebbe chiedere e anche molto di più. E’ grazie a dischi come questo che il genere riesce ancora artisticamente a essere di altissimo livello e non si può che applaudire. Risulta un’impresa trovare un difetto che sia uno come non è possibile pensare a un disco estremo migliore di questo nel 2020. Fatelo vostro, che vi piaccia o meno, dopo averlo ascoltato i vostri sogni non saranno più gli stessi.
Dream, Dream, Dream, Dream of the night…