Recensione: Memorial
Lasciate Ogne Speranza, Voi Ch’intrate
(Inferno, Canto III)
Immaginando la band svedese come la porta dell’Inferno dantesco, ci rendiamo conto di quanto queste parole siano azzeccate e, oggi più che mai, stendardo di una grandezza monumentale, maturata dai nostri beniamini fin dai loro esordi. Per chi mastica musica metal cercandone l’essenza come un predatore affamato, i Soen non hanno certo bisogno di presentazioni: sono oggi una di quelle band che, pur non invitate al banchetto, si introducono in sala d’onore senza neanche chiedere permesso. Tecnicamente ci troviamo di fronte a una realtà che, a ogni nuova uscita, ha saputo aggiungere un briciolo di enfasi e adrenalina in più, permettendo così a ogni ascoltatore di calarsi al meglio nella loro musica, fatta del miglior progressive metal e tematiche sempre attuali e mai banali.
Dopo lo straripante successo di “Imperial” e la buonissima riuscita di “Atlantis”, era richiesto al quintetto l’ennesimo capolavoro, capace di nutrire la fame della vox populi che tanto attendeva nuova linfa vitale. Il primo settembre, dopo tre singoli passati al pettine fine per settimane che sembravano quasi interminabili, vede finalmente la luce “Memorial”, promettendo di mettere su un vassoio d’argento una portata di rara bellezza.
Prima di ogni altra cosa, è doverosa una premessa: la musica dei Soen è qualcosa che in certi momenti ricorda una vera e propria opera d’arte, di quelle capaci di incantare e lasciare senza fiato: tecnica sopraffina, melodie da brividi e tematiche di spessore restano i pilastri portanti di questa band. Se per Ercole furono dodici le fatiche di diversa intensità fisica, all’ascoltatore ne vengono poste dieci, di pura natura uditiva: le fatiche che ci troveremo a dover superare narrano di soprusi, guerre e negligenze, di riscatto personale e, infine, il raggiungimento di un’illuminazione che dovrebbe guidare ogni giorno i nostri cammini: siamo noi stessi i fautori del nostro destino. È arrivato il momento di valutare se i Soen hanno percorso correttamente questo cammino, dimostrando coerenza tra il dire e il fare…
In un mondo di finzione e apparenza, dove l’immagine ha ormai preso il posto dell’essere, quale miglior modo per interpretare il proprio senso di disagio e disapprovazione se non attraverso un brano come “Sincere”? A partire dal titolo emblematico e rappresentativo, la band dimostra come, accantonata la vena puramente melodica e prog, abbia lasciato spazio a qualcosa di più profondo ed emozionale; questa prima traccia, pur non mancando d’impatto sonoro, trasmette infatti un senso di insofferenza e voglia di riscatto perfettamente percepibili.
Animati da questa energia che sale da dentro come lava vulcanica, ci sentiamo pronti a tutto e invincibili, ma il mondo fuori fa paura, resta oscuro e pericoloso, e pare impossibile affrontarlo da soli. “Unbreakable” suona come un grido di riscatto e tramite il suo riff potente e la voce di Joel Ekelöf, ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, un’armata di metallari incalliti pronti a far festa e dare nuova luce a un mondo avvolto dalle tenebre.
Il cammino procede con “Violence” e, come si può ascoltare da subito, il titolo non poteva essere più azzeccato: come un pugno in pieno stomaco, la potenza delle note introduttive respinge la nostra avanzata, come a volerci ricordare che quel controllo tanto anelato non era che una futile illusione, e ci ricorda che siamo soltanto povere anime in mano a burattinai spietati.
Affranti e desolati, trasciniamo le nostre membra lungo quel percorso del quale non scorgiamo la meta, ricercando un sostegno, un’anima che ci sorregga e condivida con noi ogni sofferenza. All’interno del testo di “Fortress” è presente la prima scossa emotiva dell’album: spetta a noi e soltanto a noi cambiare la direzione della nostra storia, fautori ultimi e univoci di un destino che ci vuole in ginocchio, esigendo continui sforzi e sacrifici. Riff accattivanti, una strofa che incalza a ogni nota e un ritornello che difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa, rendono questa traccia una delle migliori dell’intera tracklist.
Il cammino si fa sempre più impervio, carico di emozioni contrastanti che non ci permettono di dare un senso alla via percorsa e ci trasformano in spiriti erranti privi di corpo e materia. La nostra supplica è forte, udibile nell’aria come un sussulto che ne scuote ogni particella; nel momento più difficile, ad affiancarci lungo la via, ecco arrivare una musa soave, che con parole dolci e una voce inimitabile, quasi angelica, ci tende la mano per farci rialzare ed andare avanti. Per rendere grande un uomo, serve una donna immensa, e questo i Soen lo sanno bene: “Hollowed” vanta infatti la collaborazione di una delle donne che rendono grande la musica italiana. Basta premere play per essere travolti dalle leggiadre note della voce inconfondibile di Elisa, che come in una danza leggera, si mescola alle corde di Joel Ekelöf per dare vita ad una traccia da brividi, evocativa e struggente: in fondo, non siamo altro che ombre.
Siamo giunti al momento della title-track, nel pieno di una tempesta emotiva che ci sta travolgendo e trascinando come morenti foglie autunnali: “Memorial” è stata fin dalla sua uscita la traccia che più aveva convinto gli ascoltatori, essendo forse quella che più ricordava quelle che erano state le vecchie bandiere della band. Al netto di quanto ascoltato finora, mantiene sicuramente questo status, portavoce elegante e potente di quei messaggi che hanno permeato tutto l’ascolto, idolo da seguire e idolatrare, al quale legarsi come le due figure nell’artwork, unite dallo stesso destino sia nel cuore sia nella tossicità del mondo che ci circonda.
Mentre ricordiamo a noi stessi di non essere soli di fronte alle sofferenze, prendiamo forza da un’unione che credevamo perduta: “Incendiary” si presenta come un inno unificatore, calmo e preciso, volto a fare dell’unione la forza che potrà risollevare i popoli dalla polvere. La strofa mantiene la solita ritmica incalzante che trasmette la giusta carica, per poi tuffarsi a strapiombo in un ritornello più pacato e riflessivo, che ricorda molto un momento di raccoglimento intorno a un fuoco fraterno. Avvolti da questo tepore, ci lasciamo trasportare dal desiderio di riposare la mente, facendo fluire le idee; al crepitio di quelle fiamme, Joel si trasforma nel compagno che tanto stavamo cercando, esaltato dalla splendida chitarra di Cody Ford che ne accompagna le salvifiche parole. “Tragedian” è placida emozione, avvolgente come un abbraccio, tenue come la pioggia che scende lenta e silenziosa, dalla quale siamo più che felici di lasciarci bagnare e rinfrescare.
Dopo esserci riposati, trascinati da quelle note melodiose e pacifiche, ecco ritornare l’ennesimo monito impetuoso e furente, simbolo di protesta contro coloro che, da sempre, hanno cercato di dividerci e renderci vulnerabili. “Dividi Et Impera” dicevano i Romani, e soltanto oggi siamo consapevoli di quanto avessero ragione; la guerra tra poveri è una delle peggiori calamità che affliggono il mondo moderno, e “Idol” vuole darci forza per fronteggiare questo avversario comune. Nell’unione, ricordando chi è il nostro nemico e coloro che hanno lottato per la nostra libertà, saremo in grado di superare ogni avversità: queste le parole che, attraverso un brano così potente ed adrenalinico, la band ci trasmette con la solita capacità di mettere in musica il pensiero e il comune senso di appartenenza che alberga in ognuno di noi.
Siamo giunti, infine, all’ultima delle nostre dieci fatiche, carichi di un peso emotivo degno del più potente degli eroi mitici, proprio là dove i Soen volevano portarci con la loro musica. Resta il tempo di un ultimo saluto, del quale si incarica “Vitals”, che come una mano amica ci accoglie e ci porta con sé, affievolendo definitivamente ogni nostra fatica, promettendoci che alla fine andrà tutto bene.
Osando al di là di ogni previsione, i Soen riescono a creare un’opera che affascina per carica emotiva, mettendo da parte l’essenza puramente metal a favore di un viaggio che rapisce l’anima prima del mero senso uditivo, trasportandoci come Dante alla ricerca della nostra Beatrice.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro