Recensione: Memories Have No Name
“Cause in the end it’s not about who you are, who I am…It’s about what we could be in this world…what we could have been…” Queste parole mi fanno subito pensare al reale significato del termine persona (dall’etrusco phersu, maschera) e mi sembrano anche molto efficaci per introdurre una storia che narra di integrazione tra maschile (John, “uomo creativo, istintivo ed emozionale”) e femminile (Dalia, “donna razionale e pragmatica”), indagando la funzione dei nostri ricordi e come questi plasmino i nostri aspetti sociali, l’esperienza condivisa di Io che si poggiano su un inconscio condiviso.
Quelle succitate sono le parole finali dell’intro di Memories Have No Name, seconda pubblicazione (successiva all’Ep Eleven e distribuita dalla Sliptrick) degli Althea, gruppo nato a Milano grazie all’idea del chitarrista Dario Bortot e del bassista Fabrizio Zilio, cui successivamente si sono aggiunti il tastierista Marco Zambardi, il batterista Sergio Sampietro e il cantante Alessio Accardo.
Memories Have No Name, questo il titolo. Il mastermind Dario Bortot lo spiega così: “non c’è ricordo assoluto, la cui comprensione dovrebbe portare ad una maggiore accettazione di noi stessi e degli altri nella nostra vita”. Il paltter si compone di 16 tracce che plasmano un’unica grande e variegata suite, a partire da “Regression From Regrets”, un intro subito caratterizzante e di gusto, dopo il quale si inserisce con forza dirompente la bellissima “Paralyzed”, che inizia con un assolo di chitarra e finisce con un exploit di tastiera. Tra due brevi ma meravigliosi pezzi prevalentemente acustici (“A New Beginning” e “Drag me down”), la potenza di “Revenge” rapisce, oltre che per il gran cantato, per la complessità esecutiva e compositiva racchiusa in meno di 5 minuti. È proprio questa una delle caratteristiche che più è da apprezzare dell’album, l’abilità che gli Althea hanno di esprimersi con grande maestria in un minutaggio che mostra un’invidiabile capacità di sintesi. La sesta traccia è “Halfway of me”, bella e dal carattere funzionalmente ridondante. Poi altri tre brevi momenti dal grande impatto (“Intermediated pt. I”, “I can’t control my mind” e “Intermediated pt. II”) introducono “Leave it for Tonight”, grande canzone dai cori e dai riff di chitarra taglienti e avvolgenti. Poi l’ariosa e ancora breve “Memories have no name” precede la divertente ed energica “The Game”, con una fase ritmica eccellente. “Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E)” è una valida ballata, “Take me as I am” continua a stupire e, insieme ad “Anything We’ll ever be”, conduce quasi verso la fine l’album, che si chiude egregiamente con “A Final Reflection”.
Album contemporaneo, se ce n’è uno, questo Memories Have No Name, dove ogni fase è mirabilmente interpretata; album conscio della lezione dei grandi, sapientemente sperimentale, intelligentemente elettronico e dalla grande e piacevolissima varietà sonora. Complesso e profondo ma anche immediato, è suonato maledettamente bene e si può permettere divertimenti strumentali, che non sono semplici virtuosismi ma momenti di vera bravura, mentre l’ascoltatore non ne ha mai abbastanza. Penso che dobbiamo già considerarlo come uno dei lavori più interessanti e freschi del 2017.
Gli Althea dimostrano grandi potenzialità, quindi importanti responsabilità, tra cui quella di continuare a fare grande musica, anzi a fare ancora di meglio, a diventare alcuni dei protagonisti veri della scena, non solo italiana. Più che parlarne, c’è da ascoltare, consiglio vivamente l’acquisto di Memories Have No Name, questi musicisti meritano tutto il vostro supporto!