Recensione: Mental Revolution
Dopo il piacevolissimo debutto targato 2012, gli svedesi Nubian Rose tornano in pista con un nuovo album dal titolo “Mental Revolution”.
Rispetto a “Mountain” e fermo restando il ruolo di protagonista assoluta – largamente intuibile sin dalla copertina – riservato alla bella cantante di origini africane Sofia Lilja, i Nubian Rose virano per buona parte dell’disco dall’hard rock degli esordi verso un heavy metal ora dai tratti classy, ora maggiormente sbilanciato sul versante glam.
Nei brani più tesi e lanciati la Lilja, accompagnata dalle roventi chitarre di Christer Åkerlund, si trova perfettamente a proprio agio nei panni di novella Metal Queen, in virtù di una voce piena, potente ed aggressiva. Purtroppo le cose vanno decisamente meno bene nei frangenti in cui la cantante afro /scandinava si ritrova a confrontarsi con melodie sbarazzine dal taglio glam, sulle cui tonalità il proprio possente vocalismo appare quanto mai goffo e inadeguato (e peraltro pochissimo aiutato da un songwriting opaco e, viceversa, ricco di cliché).
Per una sparatissima “War”, nemmeno troppo distante in termini di sonorità dai Judas Priest degli anni ’80, seguita dalle altrettanto piacevoli e riuscite “Time Again” e “The Eye” – tenute ben in piedi da un gran tiro e da un rifferama tagliente e tirato a lucido – occorre dunque segnalare la presenza di una serie di pezzi poco brillanti e ammanierati. La sconclusionata “Illuminated Within’ e le ripetitive e quasi parodistiche “Tough Guys Don’t Dance” e “All Of Your Love” o, ancora, la risibile “(Taking This) Further” appaiono infatti deboli, poco ispirate e globalmente poco convinte, quasi a mettere nero su bianco la scarsa dimestichezza da parte della band scandinava nel maneggiare la “materia” glam.
Per fortuna la divertente “Break Out” e le AOR-oriented “Higher” e “You Will Never Walk Alone”, a mezza via tra Europe, Van Hagar e compagnia melodica, danno una grossa mano agli svedesi consentendo loro di alzare un bel po’ la media generale.
Più ombre che luci, ad onor del vero, per un album che si configura come un netto passo indietro rispetto al brillante esordio. Le doti vocali di Sofia Lilja sono evidenti e fuori discussione, tuttavia insufficienti per portare oltre una sufficienza stiracchiata canzoni spesso banali, ripetitive e prive di vera verve nonché poco adatte allo stile di canto della frontwoman. Un vero peccato.