Recensione: Mercyful Fate
Siamo nel lontano 1982 e in Danimarca stava per accadere qualcosa che avrebbe cambiato la storia del Metal (e, musicalmente parlando, di quel Paese): è l’anno questo della prima uscita discografica dei Mercyful Fate. Non si tratta di un vero e proprio album, visto che contiene soltanto 4 canzoni, ma di un mini-lp (identificato anche come “Nuns Have No Fun”), una sorta di “prova” per le produzioni (eccelse) successive. Comunque a giudicare dal risultato, i 5 danesi iniziano veramente bene: la band (quella storica) è composta dal mitico King Diamond al microfono, Hank Shermann e Michael Denner alle chitarre, Timi Hansen al basso e Kim Ruzz dietro le pelli. La musica proposta è heavy metal condito da atmosfere cupe, quasi horrorofiche, e da tematiche tipicamente black (con riferimenti satanici e occulti). Si parte con la veloce e dirompente “Doomed By The Living Dead”, a mio parere la migliore song dell’album, con prestazioni notevoli di tutti i componenti; si arriva poi alla seconda canzone, “A Corpse Without Soul”, un assaggio di quella che sarà la caratteristica principale dei Fate, ovvero composizioni che non seguono una struttura definita (strofa-ritornello) ma che disorientano l’ascoltatore con continui cambi di ritmo. Questa canzone, che con oltre 8 minuti è la più lunga del lotto, pur mantenendo un livello elevato di tecnica compositiva è penalizzata da una linea vocale inferiore rispetto alle altre, con King Diamond che a momenti sembra imbarazzato nel raggiungere i picchi del suo tipico falsetto. La terza canzone è quella che identifica l’album, “Nuns Have No Fun” (il nome è tutto un programma), una potente black-song che esprime chiaramente le idee di King Diamond: “Upon a cross a nun will be hanged, She will be raped by an evil man, Knock spikes through her hands, Things won’t come she won’t understand, You’re a nun you haven’t had no fun, Living your life as virgin queen, I’m gonna change it and I’ll get it done, Tomorrow you won’t be a virgin queen…”. L’ultima traccia è “Devil Eyes”, gradevole e degna conclusione di questo lavoro in cui la potenza espressiva del singer si scatena in un parossismo che raggiunge i massimi livelli. In definitiva un buon disco d’esordio, che getta le basi per i due sucessivi capolavori dei Mercyful Fate (Melissa e Don’t Break The Oath), con i quali raggiungeranno l’apice della loro carriera: infatti, dopo la separazione (avvenuta in seguito a contrasti tra Diamond, ostinato a mantenere delle linee musicali dure, alternative e anticonformiste e Shermann orientato a qualcosa di più orecchiabile e commerciale), il gruppo non riuscirà più a raggiungere i livelli dei primi album. Pur non essendo un capolavoro assoluto e pur avendo una produzione non proprio eccellente, mi sento di consigliare quest’album, oltre che ai fan dei Mercyful Fate e di King Diamond per i quali è imperativo averlo, a chiunque (tranne forse ai fanatici del power), e soprattutto a coloro che vogliono avere una conoscienza più approfondita delle origini del black/heavy metal. Esiste anche una versione più recente di questo album, uscito nel 1987 e rimsaterizzato dieci anni dopo dalla Roadrunner, che ha come titolo “The Beginnin”, che contiene oltre alle 4 tracce originali, anche alcune bonus track tratte da “Melissa” (Course Of The Pharaohs, Evil, Satan’s Fall, Black Funeral) e un brano inedito “Black Masses”. E per concludere: “So just say goodbye to all your fuckin’ angels!!”