Recensione: Messengers Of The Darkest Dawn
Un prodotto dalla grecia che farà gelare ogni fibra del vostro corpo, che vi scaraventerà sin dal primo ascolto in un’epoca in cui black metal voleva dire solo ed esclusivamente intransigenza. Per tutti coloro che ancora non vogliono staccarsi da quegli anni, gli Enshadowed hanno pensato bene di partorire un debutto assolutamente back to the root; 47 minuti di assoluta “purezza”, cosa tutt’oggi veramente insolita, per un totale di 8 tracce che attraversano sia la tradizione ellenica (vedi soprattutto vecchi Necromantia) sia la tradizione scandinava. Paradossalmente è quest’ultima l’influenza che maggiormente pesa sul sound dei nostri, cosa che mi aveva incuriosito viste le loro origini.
Detto questo, passiamo ad un’analisi più dettagliata. Breve intro, e poi subito un attacco dal nome piuttosto esplicito “War And Damnation”: una partenza veramente al fulmicotone, che smorza la sua furia e si fa più atmosferica solo verso l’epilogo. In quest’ultima parte si notano somiglianze con l’esordio, risalente a quattro anni fa, dei Keep Of Kalessin: arpeggi distorti molto intriganti, che costituiscono lo scheletro di quasi tutto il Cd. Ancora più evidente questa caratteristica nella seguente “Suicidal Lunacy”, dal ritmo più marziale ma non priva comunque di componenti veloci. Di certo il picco di violenza sonora è raggiunto con “A Coffin In The Catacombs Of Voidness”, vero e proprio simbolo di misantropia.
Inutile descrivere traccia per traccia questo lavoro; in linea di massima posso dirvi che gli Enshadowed non inventano proprio nulla. Sanno però fare bene quello che altri hanno inventato! Sfido a trovare un solo riff che non abbia un suo preciso significato, un passaggio che sia fuori luogo o qualsiasi altro difetto; il lavoro manca di personalità, ma nonostante questo è veramente ottimo! Inoltre devo segnalarvi la chicca finale, “Gospel Of Death”: più di 10 minuti di musica, che sanno miscelare le lezioni di anni di Black metal per dar vita ad un pezzo spettacolare. In questa precisa sede è il conte Varg a fare da maestro, non tanto per il lungo incipit strumentale, quanto per la seconda metà di canzone: un mid tempos con distorsione delle chitarre iper-zanzarosa (avete presente Fisolofem? Siamo quasi lì…), accompagnata da una voce filtrata che non lascia dubbi sull’intento folle della band. Un pezzo che saprà farsi apprezzare da tutti i cultori del genere e non solo.
Trarre le conclusioni è abbastanza semplice: quante volte vi sarete trovati di fronte a prodotti simili? Qui subentra decisamente il gusto personale, anzi, esclusivamente: se vi piace il genere, se siete nostalgici, sappiate che questa è una gran release. Un album che si muove deciso in una direzione, senza sbandamenti, e che colpisce il bersaglio. In caso contrario, dubito che siate arrivati a leggere fino qui. In qualunque caso mi sento di affermare che Messengers Of The Darkest Dawn ha passato la prova. Voto forse un pelino in difetto…
Matteo Bovio