Recensione: Metal in my Head
Dodicesimo album in studio per i Wizard, band fra le più longeve della scena tedesca: formati nel 1989 per iniziativa del batterista Snooppi Denn che assieme ai fidi Sven D’Anna alla voce e Michael Maas alla chitarra, portano avanti da tre decenni il vessillo del metal più puro e incontaminato. Vessillo sotto il quale in tempi più recenti si sono uniti anche il bassista Arndt Ratering ed il neo acquisto Tommy Hartung alla chitarra, entrambi provenienti dai No Inner Limits, band prog attiva anch’essa da diversi anni.
Tornando ai Wizard, la compagine tedesca propone un heavy power di stampo classico ma, che a dispetto delle loro origini teutoniche, è più debitore ai Manowar che non ad altri illustri connazionali come Helloween e Gamma Ray, tanto da venire spesso indicati come la risposta tedesca a DeMaio e soci.
A differenza dei colleghi statunitensi però, sono sempre rimasti un gruppo di nicchia, fattore questo che non gli ha certo impedito di realizzare capitoli degni di nota come “Odin“, “Magic Circle” e “Thor“, album che meritano certamente di essere presenti nella collezione di ogni borchiatissimo defender .
Giunti alla soglia dei trent’anni di attività nel 2019, si sono visti costretti l’anno successivo a cancellare tutte le date in programma a causa della ormai nota emergenza Covid, trovandosi “forzati” a riversare le loro energie su questa nuova fatica discografica che poco si discosta dai precedenti lavori.
Una celebrazione del metallo pesante condito da tematiche epiche e guerriere in perfetta sintonia con la filosofia predicata ai quattro venti dal già citato Joey DeMaio.
Una voce narrante ci introduce al cospetto di “Bring The Light“, opening track d’assalto caratterizzata da una martellante sezione ritmica che accompagna i vocalizzi di Sven D’Anna, cui si aggiungono poderosi fendenti di chitarra a completare un brano spedito e vivace.
Molto bene anche la successiva “Metal Fest“, cavalcata grintosa con un testo che celebra la musica metal ed in particolare il suo concetto di appartenenza inteso come una festa collettiva da celebrare sotto un palco, in un backstage o al banco di un bar. Ovunque, insomma venga sparata la nostra musica preferita a volumi da far saltare le orecchie. Tutte cose scontate fino poco tempo fa e che ora sembrano purtroppo così remote…
Le tonalità epiche fanno da padrone nella veloce “Metal In My Head“, brano tritatutto con il combo tedesco che viaggia su velocità sostenute ed in cui spicca uno stacco di grancassa e voce ad urlare il ritornello, passaggio che supponiamo pensato con l’intenzione di simulare un fraseggio con un pubblico in un eventuale concerto live. Uno sguardo che la band volge verso un futuro più roseo e speranzoso, in vista del tour con i connazionali Stormwarrior e Steel Shock previsto per autunno 2021. Incrociamo le dita!
Passiamo così a “Victory” brano dalle sfumature più europee rispetto a quelli ascoltati fin ora. Con “30 Year Of Metal” ci troviamo poi al cospetto di un mid tempo che richiama alla mente i Manowar più epici e pomposi: il testo, come si intuisce già dal titolo, celebra il trentennale di carriera della band che, anche se non lì ha mai visti entrare fra le teste coronate del metallo pesante, ha comunque dato loro non poche soddisfazioni. Numerosi album pubblicati e tour in varie parti del mondo sia in compagnia di nomi altisonanti che da headliner, sono medaglie da appuntare sul petto con orgoglio.
“We Fight” è una scarica di mitragliatrice in stile Judas Priest in cui la band va alla carica “con il potere di Odino ed il tuono di Thor” (in casa Wizard fanno le cose seriemente, cosa credevate..?), mentre con la successiva “Whirlewolf” ci viene permesso di tirare il fiato: il pezzo è una ballad che inizia con la sola voce supportata da un pianoforte nella quale si inserisce prima una chitarra e poi tutti gli altri strumenti. Il brano in questione, stando alle informazioni che ho reperito in rete, dovrebbe essere la versione alternativa di un a composizione che il vocalist D’Anna ha realizzato per l’altro progetto musicale che lo vede coinvolto: oltre ai Wizard, Sven collabora con una seconda band: i Feanor…in Argentina!
Ma cosa volete che siano 11000 chilometri di distanza nel nome del metal: in fondo basta solo regolare il fuso orario quando si devono provare i pezzi…
Tornando alle cose più serie arriviamo a “Firesword“: un up tempo dall’andamento battagliero con ritmiche sostenute da una batteria galoppante e riff chitarristici secchi e taglienti. Gli echi di battaglie si sentono ancora anche nella seguente “Years Of War” un mid tempo dove vengono chiamati nuovamente in causa, in modo nemmeno tanto velato, i già citati Manowar oltre che musicalmente anche a livello lirico. Frasi come “blood of my enemy”, “army of the world” o “hail to the Wizard, the mighty metal kings” sono una chiara dichiarazione di intenti in cui i Wizard, oltre a tributare la band di Adams e DeMaio, si candidano ad appoggiare il loro sederone metallico sull’ambito trono dell’heavy metal.
Arriviamo alla conclusione con “Destiny“, mid tempo dalle sfumature epiche e gloriose che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto già ben ribadito lungo lo scorrimento di questo “Metal In My Head”.
In buona sostanza un album che non si discosta da un millimetro da quanto proposto dai Wizard nella loro lunga carriera. Un lavoro da prendere o lasciare, in cui il metal più classico con tutti i suoi clichè più triti sfoggia i muscoli in modo borioso e sfacciato.
Non siamo certo ai livelli qualitativi di produzioni passate come “Odin“: sicuramente nemmeno con questo “Metal In My Head” i teutonici raggiungeranno la grande fama che fin ora gli è sempre sfuggita.
Siamo quasi certi che nemmeno ai Wizard stessi ormai importi più di tanto.
Pur tuttavia, se siete fan del metal più classico, quello fatto da riff potenti e ritmiche arrembanti, magari un po’ caciarone e stereotipato, date pure un altro ascolto ai Wizard: non troverete niente che non sia già stato scritto o sentito, ma potrebbe essere proprio quello che stavate cercando.