Recensione: Metal To The Bone
I fabbri delle fucine infernali, battendo sulle loro incudini, hanno riversato, fin dalla fine degli anni ’70, quintali di metallo pesante sui paesi dell’Europa dell’Est, dando il via ad un fiorente movimento ancor oggi in crescita ed evoluzione, sempre più importante e coinvolgente.
La musica estrema è così ben radicata nei paesi “oltre cortina” da aver indotto il politico Jędrzej Wijas a pubblicare, durante la campagna elettorale polacca del 2011, un video Heavy Metal in cui esponeva il suo programma con tanto di voce growl e band che suonava in sottofondo.
Come nelle nazioni limitrofe, in Polonia prevalgono le scene underground del Black e del Death Metal, ma anche altri generi trovano terreno fertile come il Viking e l’Heavy Metal classico. Il Thrash Metal ha avuto una discreta espansione agli esordi, con gruppi quali i Kat, presenti fin dal 1979, i Turbo ed i Vader. Altri buoni esempi sono i Dragon, gli Acid Drinker ed i Bloodthirst, tutte band ancora in attività.
Appartenenti al secondo millennio sono gli Warfist di Zielona Góra, Città del Voivodato di Lubusz.
Nati da un’idea del Vocalist Witcfucker (Tomasz Jasiówka) e del Chitarrista HellVomit (Michał Cierniak), presero corpo nel 2004, con l’ingresso del bassista Wrath (Michał) e del batterista Infernal Deflorator (Pavulon), per sfondare le prime linee del mondo Heavy Metal a colpi di Thrash sporco, aggressivo e nero, infarcito di toni Black talmente espliciti da impressionare un King Diamond della prima ora.
Intrapresa l’attività live e dopo due demo (“Pure Fucking Hell” e “Tunes of Hell and Alcohol” rispettivamente del 2005 e del 2006) il quartetto prima diventa un trio, a causa dell’abbandono di Witchfuckers, poi pubblica nel 2008 l’EP “HellTyrant Rising” e nel 2014 il primo album “The Devil Lives in Grünberg”, in questi M. De Sade (Mirosław Rosiński) siede dietro le pelli.
Tornato Infernal Deflorator gli Warfist pubblicano, il 30 ottobre 2016, la loro seconda fatica: “Metal To The Bone”.
La formula riprende quella utilizzata tanti anni fa da Bathory, Slayer, Venom e Sodom per far esplodere le fiamme dell’inferno: un songwriting “maledetto” e diretto che conduce ad un Thrash Metal primordiale, che, irrompendo nel cervello, porta ad un headbanging indiavolato e senza freni.
Non vi sono pause o cambi di direzione, non vi è spazio per la sperimentazione o l’introduzione di novità: tutto riconduce schiettamente a quel modo di suonare e di impressionare che all’inizio degli anni ’80 s’impose con il nome di Black Metal, per via dei suoi contenuti, e che nel giro di poco confluì, insieme allo Speed, nel definitivo Thrash Metal.
Nove tracce dinamiche ed essenziali, composte da riff taglienti come seghe elettriche, strofe senza respiro, refrain ridotti all’osso ed assoli incisivi, pur se di una manciata di secondi, formano il full-length, che scorre via in poco più di mezz’ora.
La partenza è immediata: l’opener “Pestilent Plague” è un brano veloce e ritmato, dai toni evocativi e malefici sostenuti da una trascinante doppia cassa. Con la successiva “Written with Blood” gli Warfist mettono in luce la loro capacità di alternare tempi dall’incedere infernale ad al altri più pesanti e cadenzati; questi prevalgono nell’oscura “Convent of Sin”. Passando per “Tribe of Lebus” si giunge a “Breed of War”: introdotta da un basso maligno e potente, è incentrata prima su strofe narrative in tempo medio e poi sulla velocità. A parere dello scrivente è il pezzo migliore.
La title-Track “Metal to the Bone” trasmette, in una manciata di minuti, la rabbia dell’Hardcore, i cui tempi veloci vengono fusi, nella successiva “NecroVenom” con i riff di un più classico Heavy Metal. L’ottava “Playing God” porta alla conclusiva “Reclaim the Crown”, che può dirsi un buon omaggio ai Venom.
Album dai toni forti, anche se non originali, si accoda ai grandi album del passato celebrandone l’importanza, senza per questo cadere nel malinconico e nel già sentito, proseguendo il lavoro delle band capostipiti e dimostrando che il genere è vivo ed ha ancora qualcosa da dire.
Dante, nella sua Commedia, ha supposto il regno dell’oltretomba come una cavità composta da nove cerchi che scendono a spirale. A questi è stato aggiunto il decimo da Cronos, Quorton, Tom e Angelripeer, fatto poi espandere da coloro che nel Thrash Metal hanno sempre creduto. Con “Metal To The Bone” in tale cerchio entrano gli Warfist, non come dannati, ma come guardiani.