Recensione: Metamorphosis

Di Daniele D'Adamo - 16 Novembre 2011 - 0:00
Metamorphosis
Band: Vile
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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72

A sei anni dal loro ultimo full-length (“The New Age Of Chaos”, 2005), i californiani Vile proseguono imperterriti la loro metamorfosi stilistica. Se lo splatter/gore degli esordi (“Stench Of The Deceased”, 1999) contraddistingueva il loro brutal death metal, l’ultimogenito “Metamorphosis” (non a caso), segna un ulteriore passo evolutivo verso un moderno e raffinato metal a 360°.

Partendo dalle contaminazioni prog che han così bene definito il death floridiano (Death in primis), i Vile sono stati capaci di aggiungere, senza stravolgerlo, elementi di black ed heavy al loro sound, non dimenticandosi della melodia sì da avvicinarsi via via a una proposta dal timbro chiaramente europeo. Come facilmente immaginabile, questa trasformazione non è avvenuta di colpo ma lentamente e, soprattutto, senza sosta. Giungendo, così, a definire le attuali coordinate stilistiche sulle quali il gruppo di Colin Davis ha fondato “Metamorphosis”. Davis che, occorre rimarcarlo, è un personaggio che va oltre il ruolo di chitarrista della band e unico membro originale sopravvissuto sino ai nostri giorni, essendo uno dei migliori produttori e compositori del metal estremo internazionale.           

Difficile, quindi, pensare all’album come a un rullo compressore: si tratta, al contrario, di una creatura multiforme, elaborata, complessa e dalle sembianze studiate sino alla manìa. La sua durata, non eccessiva in termini assoluti (trentotto minuti), non deve ingannare: la materia musicale è densa e occorrono reiterati ascolti per riuscire a trovare il bandolo di una matassa dall’apparenza assai ingarbugliata. Una sensazione solo iniziale, questa, poiché alla fine emergono sia la personalità (seppur ancora immatura, come si vedrà poi) dell’ensemble di Concord, sia la sua irreprensibile preparazione tecnica. Che, in virtù della professionalità di Davis, vanno a braccetto con un’altrettanta, ineccepibile qualità di registrazione.

Malgrado non sia il segno di riconoscimento primario del CD, la furia demolitrice del brutal appare con decisione sin dalle prime battute, sottolineate dai blast beats di “March Towards The Dawn”. Tuttavia, il caleidoscopico rifferama della canzone riporta al volo l’attenzione sulla peculiarità che, evidentemente, deve essere alle origini del ‘Vile-pensiero’: l’accuratezza del songwriting e la ricerca di soluzioni melodiche (“What Lies Beyond”) – ma non troppo – tali di movimentare la scrittura stessa. A onor del vero, il gorgoglio emesso dall’ugola di Mike Hrubovcak appare ancora un po’ monotono e quindi tendente ad appiattire lo spessore della musica (“The Revealing”); però è una caratteristica congenita del genere, e così va presa. I passaggi del vocalist ove si rasenta lo scraming più scellerato riporta i Vile in direzione del black metal, anche se si tratta d’istanti tutto sommato sporadici. Più che di richiami veri e propri ai parossismi sonori del genere nero, difatti, si tratta di toni tendenti alle oscure tinte della misantropia (“Rise”) o del terrore (“Wolf At Your Door”), come sottolineato dall’inquietante intermezzo ambient “I Am Become Death” e dallo stupendo break ossianico di “I Am Alive” che, quasi magicamente, fa tornare indietro nel tempo sino ai Venom di “Buried Alive” (“Black Metal”, 1982).

Comunque sia, alla fine di death – e anche di quello piuttosto canonico – si tratta. Su questo non paiono esserci dubbi. La mutazione dei Vile dalla primigenia forma iniziale non ha avuto, a parere di chi vi scrive, la progressione forse esagerata che si poteva intravedere in “The New Age Of Chaos”. Ci sono attimi desueti dal campionario death come “Shadow Work”, per esempio, che fanno pensare addirittura alle sulfuree, immobili atmosfere del doom. Però, brani come “Prophetic Betrayal” o “As One”, che meglio identificano il sound del quartetto della California, inchiodano il combo stesso al numerosissimo insieme composto dagli eredi di Chuck Schuldiner.   

Proprio quest’apparente ma tangibile incapacità di mettere a fuoco con precisione una linea da seguire è il limite principale degli statunitensi, almeno per quanto espresso in “Metamorphosis”. Permane, inoltre, il senso d’incompiutezza già apparso nei lavori precedenti. L’insieme dei brani, cioè, è più che sufficiente per generare il dovuto interesse, ma non è eccezionale: da qui, la percezione di una discontinuità strutturale che, per storia ed esperienza, i Nostri non dovrebbero avere. Una personalità marcata ma acerba che dovrebbe essere, al contrario, matura.
Vile: eterni incompiuti?   

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. March Towards The Dawn 3:36     
2. The Revealing 3:50     
3. What Lies Beyond 3:37     
4. Rise 3:24     
5. I Am Alive 3:52     
6. Wolf At Your Door 2:13     
7. I Am Become Death 2:06     
8. Shadow Work 4:55     
9. Prophetic Betrayal 4:37     
10. As One 3:27     
11. Redemption (strumentale) 2:52      

Durata 38 min.

Formazione:
Mike Hrubovcak – Voce
Colin Davis – Chitarra
Jack Gibson – Basso
Tyson Jupin – Batteria

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