Recensione: Meteor
Solo un anno fa ci lasciavamo con la speranza che gli Antigama proseguissero nella direzione intrapresa con l’EP “Stop The Chaos”, dopo aver messo da parte sperimentalismi che non erano in particolare sintonia con l’approccio musicale del quartetto polacco.
Ed eccoci al cospetto del sesto full-length “Meteor” che tiene fede alle promesse, con la band che concentra il tiro su quello che meglio gli riesce, ossia tenere un gioco aggressivo e assassino che pone le sue basi su quella che è stata la loro chiave di volta, l’inserimento in line-up dell’ex Vader Pawel Jaroszewicz, fresco di immissione ‘in ruolo’ in una delle band più rispettate dell’intero circuito death metal, i Decapitated. Proprio la sua duttilità e il sapersi destreggiare tra diverse frange del metallo estremo facilita il compito ai suoi compagni di viaggio, messi in condizioni tali da potersi esprimere al meglio.
Il risultato è un disco di prevalenza grind, che si presenta col trittico “Collapse” / “The Key” / ”Prophecy”, poco più di sei minuti d’inaudita violenza, che riesce ad alzare la temperatura corporea dell’ascoltatore, sotto la spinta della voce acidula di Myszkowski, che si dimostra tra le più aggressive e varie (metricamente e ritmicamente) in circolazione e si fonde alla perfezione con il resto dell’ensemble. La title-track “Meteor” invece cambia prospettiva, e il gioco sporco lo fanno gli accordi dissonanti di Rokicki, che riportano alle sperimentazioni che hanno caratterizzato i primi dischi della band, approdando su terreni metalcore. Così anche “Fed By The Feeling” si apre a una sorta di charleston, ballo di derivazione jazzistica sul quale Myszkowski improvvisa uno scat: piccoli inserti che non vanno minimamente a intaccare la via principale, quella della devastazione completa. Il riff di derivazione punk, gli accordi atonali, così come lo slow-tempo di chiara matrice death sono i segni distintivi di “Crystal Tune”, mentre “Stargate” gli si oppone con un industrial in cui una suadente voce blatera sommesse frasi che si perdono in “The Signal”, in cui risalta la possente macchina ritmica guidata dal duo Zawadzki / Jaroszewicz su tempi dispari bizzarri. La strumentale “Turbulence” è caratterizzata da un drum’n’bass sul quale irrompono colori e suoni etnici che lasciano spazio al solito attacco improvviso nel finale, con tanto di solo di synth. La distruttiva “Perfect Silence” anticipa “Untruth”, che si snoda tra metalcore e industrial, lasciandoci con un segnale interrotto e un secco «Goodbye».
Un arrivederci che ricorda quello fatto dopo il disco “Resonance” dalla Relapse Records alla band, che ha fatto perdere ai Nostri una grande occasione. Ma col senno di poi, oggi possiamo dire che quel divorzio è stata la loro salvezza. Così facendo gli Antigama sono riusciti a restare fuori dalle strategie di un’etichetta affermata, esprimendosi liberamente al meglio delle loro capacità creative, tecniche e compositive, regalandoci un disco di buonissimo livello, che a tratti ritorna alle sperimentazioni del passato, ma questa volta con buon gusto e con la totale coscienza di chi sa da che parte andare.
Vittorio “Dark Side” Sabelli
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