Recensione: Midnight Ghost
Con una puntualità e precisione disarmante, i Brainstorm tornano sul mercato con una nuova fatica in studio, per esattezza la dodicesima di una carriera costellata da dischi sempre al di sopra della media ma sempre troppo poco apprezzati dal grande pubblico, cosa che non ha mai fatto fare il salto di qualità alla band per quanto concerne i grandi palcoscenici.
Partiamo però per gradi perché, se la qualità e affidabilità del combo è ineccepibile (non a caso sono tedeschi), negli ultimi anni abbiamo assistito quasi a dei veri e propri cicli ispirativi che venivano contraddistinti in perfetta alternanza da album ispirati con altri dove il calo fisiologico e compositivo invece risultava più marcato.
Fortunatamente per noi questo nuovissimo Midnight Ghost fa parte della schiera dei più riusciti e, probabilmente, siamo al cospetto del migliore album del combo di Heidenheim.
Detta così può sembrare la classica dichiarazione di un componente di una qualsiasi band in procinto di pubblicare un nuovo disco che, compiacendosi, lo addita come il lavoro più maturo e meglio riuscito della band, ma questa volta possiamo affermare che è la verità.
I Brainstorm, dall’ingresso di Andy B Frank nel 1999 e dopo un periodo di rodaggio, sono riusciti a trovare la quadra tirando fuori capisaldi del power made in Germany come Soul Temptation e Liquid Monster, autentiche perle di rara bellezza che stravolgevano il concetto più purista di power metal di matrice germanica pompandolo di anabolizzanti e suoni rocciosi come se guardassero verso la patria stelle e strisce ma tenendo sempre in primo piano linee melodiche di impatto e soprattutto di facile assimilazione.
Una ricetta vincente che ebbe appunto il suo picco compositivo nella seconda metà degli anni duemila con il sopraccitato Liquid Monster e il successivo Downburst, che ne ricalcava le coordinate ma aggiungendoci ulteriore potenza da una parte e quel tocco gotico malinconico a rendere più oscuro il tutto, dall’altra.
Da qui qualcosa cambiò e il proseguo della carriera fu una sorta di altalena, dovuto sia a una ricerca di sonorità differenti e sperimentazione costante sia a qualche sporadico calo di ispirazione che in una lunga carriera possono essere assolutamente giustificabili.
Se Memorial Roots ammorbidiva i suoni a favore di una produzione più ovattata e meno graffiante con brani più lenti e atmosferici dove in alcuni casi si intravedevano addirittura le luci (e ombre) dei Maiden di The X Factor, col successivo On The Spur Of The Moment questa formula fu ribadita ma tornando a dei suoni più cattivi e granitici, marchio di fabbrica della casa.
Due capitoli particolari che, nonostante fossero tutt’altro che brutti dischi, minavano l’ascesa della band per come i fan stavano imparando ad amarla dopo i successi succitati.
Con Firesoul e il successivo Scary Creatures si assiste a un discreto ritorno alle sonorità che più sono congeniali a Ihlenfeld e soci: riff dinamici e compatti arricchiti da liriche e armonizzazioni che fan capire che siamo pronti per aspettarci un nuovo ritorno a ciò che la band sa fare meglio: l’Heavy Metal, e tutto questo da oggi finalmente ha un nome: Midnight Ghost.
Ci saremmo aspettati un buon disco, classica buona produzione, ritornelli melodici e riff da headbanging forsennato, ma mai che le dieci tracce contenute nel dischetto digitale rasentassero la perfezione, al giorno d’oggi, di ciò che può essere definito power metal, di fatto un genere che nonostante rinchiuda in se una miriade di sfaccettature, ai Brainstorm oggi sta stretto.
Tutto è perfetto, tutto è al posto giusto a partire dalla cover pazzesca, roba da quadro esposto alla National Gallery di Londra, e la track list? Parliamone, perché qui siamo come persone affamate sedute su una bella tavolata in un ristorante cinque stelle e siamo pronti ad assaporare le delizie che ci propone la casa.
A darci il benvenuto è Devils’Eye, un’opener perfetta, un vero e proprio cazzotto in bocca. Un’intro di batteria apre la strada a dei riff taglienti come scimitarre che danno il via alla parte cantata di un Andy B Frank in una forma strepitosa ribadendo di essere uno dei più carismatici e duttili vocalist in circolazione in assoluto, arrivando a un ritornello che definirlo maestoso è quasi riduttivo.
Revealing the Darkness è il frutto delle sperimentazioni più oscure fatte negli anni passati, il tutto riassunto in una killer song oscura di appena cinque minuti dove verrete trasportati nei meandri più oscuri e malinconici della band. Ravenous Minds è il primo singolo estratto ultramelodico e dannatamente potente con la batteria di Dieter Bernert a fare il diavolo a quattro e un ritornello, come in ogni singola song di questa opera, che ti fa alzare le corna al cielo e rimanere senza voce per giorni.
La successiva The Pyre è una delle canzoni più devastanti che il combo abbia mai scritto: potenza, velocità e melodia servite su un piatto d’argento a nostro servizio.
Il gran buffet è ancora ricco e noi possiamo soddisfarci quanto vogliamo di tutte le pietanze che ci offrono i ragazzacci tedeschi in questione, veri chef del metallo; Jeanne Boulet (1764) è una vera e propria mini suite marziale ed epica come forse mai han fatto i Brainstorm, con un ritornello che, anche se non c’è bisogno di ribadirlo, mette in luce tutte le capacità di Andy, compresa una teatralità fuori dal comune e una padronanza del range vocale partendo dalle basse per arrivare alle alte decisamente imbarazzante per noi poveri mortali.
When Pain Becomes Real e The Four Blessings sono brani che dal vivo farebbero saltare anche una persona in preda alla depressione più nera tanta è la carica positiva che riescono a trasmettere con la loro dinamica, mentre in chiusura c’è spazio pure per una ballata acustica, un vero e proprio dolce, a coronamento di questa abbuffata di metallo vero e puro come non se ne sentiva da tempo.
Midnight Ghost risulta essere un disco che, oltre aver superato ogni migliore aspettativa circa la nuova fatica di un disco dei Brainstorm, supera le aspettative di qualsiasi uscita power metal di oggi giorno con la sua freschezza, nonostante non stia inventando nulla di nuovo e non avendo neppure un filler o un punto di stanca.
La durata di cinquanta minuti risulta essere azzeccata in quanto una volta finito l’ascolto la voglia di riniziare a sbattere la testa con Devils’Eye è davvero tanta e irrinunciabile.
In definitiva siamo davanti al miglior disco possibile che la band avrebbe potuto scrivere nel 2018 e probabilmente, considerando la maturità delle composizioni, la produzione e, per farla breve, il prodotto complessivo, il miglior disco in assoluto della band.
Con la speranza che finalmente ci sia la possibilità di vedere questo immenso gruppo calcare le assi di palchi ancora più grandi il consiglio è di goderci appieno Midnight Ghost. Pazzesco.