Recensione: Midwest Pandemic

Di Alberto Fittarelli - 3 Febbraio 2007 - 0:00
Midwest Pandemic
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Anno: 2006
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80

C’era una volta un genere musicale il cui nome aveva, come molti altri, origini decisamente dubbie: il metalcore. Salito agli onori della cronaca a causa del boom avuto nella magica terra d’America, si trovò presto a scontrarsi con una realtà più dura, dove da una parte i malvagi Stereotipi facevano la guardia all’Ortodossia del Metallo, dall’altra il Popolo non si faceva incantare dal fascino del suo Look Standard, alfiere di tutti i suoi successi.

Vennero dunque dei nuovi cavalieri, che capirono ben presto di dover difendere il proprio signore cambiando le cose, portando avanti nuove idee, lasciando ammuffire l’ennesimo clone del clone del clone dei Pantera di Far Beyond Driven: e tra una strizzatina d’occhio agli Opeth (Becoming The Archetype) e un ammiccamento al mathcore (signore rivale del metalcore, ma questa è un’altra storia: vedi i Dead Man In Reno) emersero anche i Twelve Tribes, il cui nome rimandava alle perdute tribù d’Israele e che decisero di riunire più idee fosse stato loro possibile. Il risultato? Potrebbero essero loro i Lancillotti del Metalcore, anche se è ancora un po’ presto per dirlo.

C’è da dire sicuramente che la varietà che questo disco esprime, la quantità di singole ispirazioni che potrete ascoltare in ogni singolo riff, è decisamente rara per un gruppo A) americano B) –core, e quindi con quella bella voce urlata in primissimo piano C) trendy, perché no? La summa è un album davvero pregevole, complesso e composito, dotato di rimandi a diversi sound, mai (o quasi) troppo espliciti (tranne quando il groove si rifà un po’ troppo alla scena crossover US), e soprattutto capace di un feeling apocalittico che i metal fan più moderni e freschi adoreranno: ne sono ottimi esempi pezzi come Muzzle Order o la bellissima e a suo modo struggente Librium, che deve molto anche ad una sezione ritmica sempre protagonista e perfetto contraltare di chitarre che farebbero felici persino gli ottimi The Haunted.

Poi ci sono i pezzi dove Lancillotto osa un po’ troppo: Verona (e non chiedetemi il perché di tale titolo, a me spetta solo la cronaca delle imprese di questa band, ed in esse – e nel promo – non è inclusa la presenza dei testi) è un po’ troppo groovy, ruffiana, insomma, quello che si diceva poc’anzi, per esempio. Peli nell’uovo, a voler guardare, visto che nel complesso la tela tessuta dai Twelbe Tribes è praticamente perfetta: un album raro nel genere, e non solo, per ispirazione e capacità compositiva reale. Lasciatevi ammaliare dalle loro imprese, e con l’ascolto della suite in tre parti The Recovery troverete la pace dei sensi, se amate questo genere.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. National Amnesia
2. Muzzle Order
3. Televangelist
4. Pagan Self Portrait
5. History Versus The Pavement
6. Monarch Of Dreams
7. Librium
8. Verona
9. The Nine Year Tide
10. Midwest Pandemic
11. The Recovery

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