Recensione: Mind Over Body

Di Alessandro Marcellan - 17 Aprile 2007 - 0:00
Mind Over Body
Band: Mindflow
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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84

La presentazione del disco da parte del management dei brasiliani Mindflow è di quelli che colpiscono nel segno: “un progetto multimediale che unisce le arti della musica, della fotografia, della filosofia e della fumettistica”. Un accattivante quanto enigmatico artwork completa l’opera di marketing, mentre alla sostanza sonora ci pensano cinque giovani musicisti di talento (tutti peraltro impegnati in studi di conservatorio), che col supporto al mastering del blasonato George Marino (Dream Theater, Dixie Dregs, Malmsteen, ecc.), danno alla luce “Mind Over Body”, secondo lavoro in studio dopo “Just the Two of Us…Me and Them” del 2004, acclamato dalla stampa specializzata e dalla base prog-fans in madrepatria, sostanzialmente ignorato nel Vecchio Continente.

A differenza che nell’esordio, non ci troviamo qui di fronte ad un vero e proprio concept-album, ma ogni brano rappresenta una differente situazione immortalata in uno scatto (dall’ingegno del fotografo pubblicitario Jorge Lepesteur) che decodifica testi psico-filosofici incentrati sul tema comune del rapporto tra pensieri e azioni, e sul modo in cui queste ultime possono essere altrimenti interpretate da persone diverse. L’elegante confezione digipak include inoltre un secondo booklet a fumetti (stavolta opera dell’artista Rick Troula), che interpreta “Follow your Instinct”, suite-capolavoro su cui torneremo nel corso della recensione. Le coordinate musicali inquadrano un metal progressivo dal taglio ostico, moderno, che parte spesso e volentieri da un riffing potente vicino al thrash, muovendosi fra le strutture articolate e ricche di controtempi dei primi Psychotic Waltz o dei Pain of Salvation più sperimentali e progressivi (o dei recenti Prymary), mentre, distaccandosi giudiziosamente dallo stereotipo delle lunghe parti strumentali virtuose, il sound viene piuttosto attualizzato con spruzzate di tecnologia, fra tastiere futuristiche e frequenti inserti elettronici, con qualche riferimento al crossover (quello vero), ai Dream Theater più ispirati di “Six Degrees…” (il cd1, ovviamente) e agli stessi Faith No More, in particolare nel cantato camaleontico di Danilo Herbert.

Tutto questo si evidenzia fin dalla prima traccia “Crossing Enemy’s Line”, che dopo un inizio elettronico a complemento del lavoro di chitarra elettrica e percussioni, attacca con un riff thrashy doppiato dalle tastiere (che ricorda in questo caso qualcosa di “Train of Thought”…e dei Metallica), istigando ad un iniziale headbanging reso poi improbo dalle continue variazioni impresse dalla sezione ritmica del duo Pensado-Winandy. Mentre Herbert, a sua volta, si districa fra Gildenlow e Bush (quello degli Anthrax…) delineando, con voce saltuariamente filtrata, linee melodiche di non agevole assimilazione (si noti qui l’assenza di un vero ritornello), emerge la cura per gli arrangiamenti soprattutto da parte del tastierista Miguel Spada, che passa qui da un pianoforte classicheggiante -in aperta sfida con la potenza della chitarre- al sopra citato piglio modernista, che farà storcere il naso a qualche defender oltranzista facendolo -bontà sua- gridare al complotto nu-metallaro, mentre noi, anche a merito di questi limitati ed azzeccati interventi, possiamo sollazzarci con una band giovane ma dalla personalità e dai tratti distintivi già così pregnanti. Per concludere il discorso su questa eccellente opener, nel finale la melodia si impadronisce della scena come ancora non era accaduto, e come invece sentiremo nei più brevi brani successivi. Prima di allora, però, chitarra e ritmiche ancora in evidenza per “Upload-Spirit”, che esordisce con influenze P.o.S. per poi espandersi grazie a ricercati espedienti melodici e strumentali, con qualche velato riferimento orientaleggiante e un uso ancora eclettico delle tastiere, che da tecnologiche si tramutano in organo, fino ad interventi pianistici che, passando per un ermetico assolo a due chitarre e a nuovi momenti percussivi filtrati, si muovono fra il jazz e il neoclassico. Come anticipato, si tira poi il fiato con le tracce a seguire, due lenti fra loro collegati che rimandano ad atmosfere pinkfloydiane e dei Porcupine Tree più recenti: si tratta della sussurrata “Thousand Miles from You”, gradevole ma forse leggermente sottotono rispetto al resto del disco, e della più interessante “Just Water, You Navigate”, guarnita con soluzioni di maggiore efficacia a livello ritmico (specie in certi controtempi del basso) e nel particolare sussidio delle backing vocals. Solo pochi minuti, perché la corsa riprende con “Chair Designer”, che assale l’ascoltatore con un riffing subito forsennato e una sezione ritmica travolgente protagonista, perfettamente controbilanciati da melodie sempre complesse ma che si scopriranno, dopo più ascolti, davvero avvincenti nel refrain e in alcuni incisi che portano un lontano marchio “Genesis”, mentre i secondi conclusivi ci ammaliano fra suggestioni del Medio-Oriente con tanto di gong finale.

La seconda parte dell’album si apre invece rilassata con “A Gift to You”, quasi un preludio voce-pianoforte, che sembra nascere da una variazione sul tema del “Chiaro di Luna” di Beethoven, per avvalersi poi del tocco di classe di un violino a dipingere una sorta di mini-refrain strumentale (raggiunto nel 2° intervento da un sommesso coro dal sapore liturgico): non sono neanche 3 minuti, eppure la quantità di idee proposte in pochi attimi dalla band paulista richiede qualche riga di descrizione, rendendo poco meno che imbarazzante il paragone con l’analoga “Vacant” dei DT. Ma proseguiamo oltre: chitarre aggressive, tastiere sintetiche e continui cambi di ritmo, dicevamo. Tutto questo è nuovamente presente in “Hellbitat”, uno dei brani più bellicosi e meno assimilabili del lotto, ingentilito da una sezione strumentale centrale rallentata in cui, dopo un gustoso duetto fra chitarra spagnola e pianoforte, e una batteria per un istante quasi “latina”, possiamo imbatterci in vocalizzi stile Queen, in uno struggente violino, in certe disarmonie tipiche dei Gentle Giant d’annata e in qualcosa dei connazionali Angra dell’era Matos, fino alla reprise aggressiva che poi sfuma in un coro finale “a cappella”: vi può bastare? Se la risposta è ancora negativa, i brasiliani ribattono immediatamente con i 15 minuti della suite preannunciata, “Follow your Instinct”, folle mosaico in cui si esasperano i concetti di varietà ritmica, armonica e vocale, mentre il lettore-ascoltatore, nel seguire le sfaccettature psicologiche di una mente criminale prima, durante e dopo l’omicidio, è accompagnato per mano da un gustoso booklet a parte di 20 pagine, ciascuna con un proprio paragrafo illustrato graficamente dai fumetti di Troula. A sottolineare l’eterogeneità del pezzo (senza tediare chi legge con descrizioni prolisse), si prendano ad esempio, come estratti, certe fasi atmosferiche alternate a momenti durissimi vicini al riffing hardcore dei Sepultura, alcune battute a passo di tango (!), un virtuoso assolo di chitarra prossimo a simulare il “Volo del Calabrone” di Rimsky-Korsakov e, in generale, l’interpretazione poliedrica di un Herbert versione Mike Patton. Infine, per i residui incontentabili, un ulteriore tassello del puzzle va a colmare l’intera durata del supporto cd: tutt’altro che un riempitivo, “Hide and Seek” è un brano oscuro, intenso, melodrammatico, fra ricorrenti temi pianistici “horrorifici” e violini dissonanti che si insinuano in accordi distorti su uno sfondo epico-gotico, e ancora passaggi vicini alla fusion che si avvicendano con parti più tipicamente prog-metal, contemplando anche un simil-mellotron ad accompagnare la parte più melodica del brano (nella quale si intravedono i primissimi King Crimson). La conclusione vede, nell’ordine, possenti accordi di chitarra, una risatina agghiacciante, un violino da solo a sfumare sul tema iniziale.

Il flusso della mente è dunque un fiume in piena, complesso, tortuoso, da “lacrime e sangue”, ma una volta che ne sarete usciti indenni, da buoni progster estremi, non potrete che esserne ripagati. Di certo, se i Mindflow sapranno confermarsi su questi livelli o addirittura superarli (magari prestando ulteriore attenzione alla ricerca melodica e curando maggiormente i suoni di basso e batteria), il capolavoro è dietro l’angolo. Ora non avete più scuse: il Brasile reclama attenzione…voi dategli retta, e correte ad accaparrarvi questo grande disco.

Alessandro Marcellan “poeta73”

Tracklist:
1. Crossing Enemy’s Line (12:17)
2. Upload-Spirit (7:08)
3. A Thousand Miles From You (3:49)
4. Just Water,You Navigate (5:23)
5. Chair Designer (10:44)
6. A Gift to You (2:47)
7. Hellbitat (12:01)
8. Follow Your Instinct (15:51)
9. Hide and Seek (9:52)

Line-up:
– Danilo Herbert (voce)
– Rodrigo Hidalgo (chitarra e backing vocals)
– Rafael Pensado (batteria e backing vocals)
– Ricardo Winandy (basso)
– Miguel Spada (tastiere e backing vocals)

Guest:
– Andreia Salinas (violino nelle tracce 6, 7 e 9)

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