Recensione: Mind Pollution
Disco d’esordio per gli Agape, band nata sui banchi di scuola di un liceo fiorentino nel 2017 e recentemente approdata ad un contratto con Red Cat Music.
Curiosa l’analisi del moniker: “Agape” è l’acronimo derivante dalle iniziali dei nomi dei componenti della band. Parimenti, in inglese significa “a bocca spalancata”, mentre nel greco antico soleva indicare l’amore incondizionato ed immenso. Piuttosto suggestivo.
Il terreno d’espressione scelto dal quintetto toscano è tuttavia l’hard rock moderno (o alternative come direbbero i più sofisticati) radicato in sensazioni ed atmosfere non propriamente solari, ampie, o in qualche misura “amorevoli”.
Cupo, a tratti caliginoso, il rock degli Agape non cerca, infatti, la strada del successo nelle melodie immediate, preferendo un incedere ciondolante, ipnotico, compassato e senza orpelli.
Una scelta condivisibile anche se in parte penalizzante. Le derive quasi stoner nella miscela rock e guitar oriented che il gruppo elabora, hanno germogli di una personalità palpabile ma che ad ora non sorprende ed è da conquistare appieno. “Mind Pollution” – titolo già di per se fosco e tutt’altro che radioso – è una prima prova che evidenzia qualità al netto di una proposta un po’ acerba e perfettibile.
Ancora da far crescere insomma negli elementi utili ad una vera affermazione che possa davvero permettere l’affrancamento dalla dimensione underground cui, per ora, gli Agape sono ben saldati.
Magari a loro potrà andare bene così, tuttavia sarebbe un peccato non tentare di ampliare quelle che sono le cose piuttosto buone ascoltate in questo debutto. Verrebbe da definirli come una sorta di Slash che omaggia gli Ac/Dc ed usa la chitarra di Tony Iommi. Il sound settantiano, i contorni sabbathiani che di tanto in tanto si fanno strada ed il netto contrasto suscitato dalla voce, sottile ed elegante, di Alice Taddei, sono basi invero solide su cui progettare sviluppi.
“Uranium 238”, brano conclusivo dell’album, vale da biglietto da visita sul potenziale a disposizione. Le arie seventies, il “giro” martellante delle chitarre opposto al break quasi onirico con voce sognante, sono ingredienti che denotano abilità di quelle “vere”. Non si concepisce un pezzo simile senza averne i mezzi ed una certa contezza.
Ci ha fatto piacere conoscerli grazie al consueto buon intuito di Red Cat records, meritevole di averli scovati e di aver garantito loro una possibilità.
Il futuro per gli Agape è ancora tutto da costruire. Alla luce di quanto ascoltato è tuttavia innegabile la presenza di valori concreti che potranno contribuire ad una crescita sostanziale della loro proposta.