Recensione: Mindbender
Se i Voivod hanno saputo ripartire in un momento non facile della loro carriera (dopo l’abbandono di Jean-Yves Thériault e la momentanea separazione da Denis Bélanger) parte del merito ricade anche su Eric Forrest. Negatron (1995) e Phobos (1997) segnarono un ritorno a sonorità più pesanti, e l’ingresso del cantante-bassista non deve esser stato casuale in questo orientamento. Sebbene visti come passi indietro rispetto ai precedenti fondamentali album, col tempo sono stati meritoriamente rivalutati all’interno della discografia della band canadese.
Personalità tra le più credibili e coerenti della scena metal, Forrest ha guadagnato la stima di molti fans (e senza dubbio anche di act come Vektor e Cryptosis), oltre che per aver dato nuova linfa alla band “madre”, anche per la successiva carriera con gli E-Force, splendida creatura che mutua il nome proprio dal suo leader.
Proseguendo il discorso iniziato con i Voivod, Forrest ha condotto gli E-Force nei territori di un thrash metal evoluto, ricco di elementi technical, industrial, sci-fi e psychedelic, attraverso dischi dall’affascinante potenziale, dal debut Evil Forces (2003) al penultimo Demonikhol (2015). Forti del contratto con Mighty Music e di una formazione rinnovata, con l’ingresso del chitarrista Sébastien Chiffot e del batterista Patrick Friedrich, ritroviamo in Mindbender l’ideale colonna sonora di freddi scenari post-apocalittici e un approccio cibernetico allo stesso tempo straniante e ricco di fascino.
L’attacco violento di Provocation e della successiva Traumatized non lascia dubbi sulle feroci intenzioni del trio. Riff e assoli di scuola thrash si mischiano a un groove potente e ossessivo. Un wall of sound tecnologico e sfiancante, dove la fusione di tradizionale e futuristico non rinuncia ad aperture melodiche, su cui lo scream ruvido e affilato di Forrest mostra di aver pochi eguali in quanto a malignità.
Altrove i ritmi si fanno più lenti e cadenzati, con innesti psichedelici e trame ipnotiche. La voce a tratti scivola nel growl e mantiene una narrazione sofferta, mentre inserti campionati contribuiscono a creare atmosfere oscure e meccaniche. I nuovi entrati svolgono egregiamente il loro lavoro, le chitarre graffiano, gli assoli sono calibrati, i pattern di batteria evolvono con efficacia.
La compattezza diventa pregio e difetto della macchina costruita dagli E-Force. Potenza e pesantezza non derivano dalla velocità, ma da un’insistita presenza dei riff, che ripetono se stessi in un mantra aggressivo. In Dehumanized riemergono i Voivod di Forrest grazie a strofe irregolari e dissonanti e a una visione compositiva fuori dagli schemi (la chiusura dell’album è poi affidata alla auto-cover di Insect da Negatron).
Non ci sono brani che spiccano sugli altri, come se fossimo al cospetto di un unico lungo componimento suddiviso in passaggi, un monolite oscuro con più facce, dove dominano i toni del grigio, così come avviene nel feroce artwork di copertina. Mindbender mantiene la stessa solidità dei dischi precedenti, ma non eguaglia l’estro di un “The Curse…” (2014), ad oggi apice compositivo della band.
Forrest guida la sua navicella nel viaggio distopico verso una deriva cosmica, consentendo agli E-Force di mantenere lo stato di (cult) band di qualità. Anche queste composizioni potranno trovare una loro dimensione on stage, con una forza che invade il cervello prima di arrivare al cuore.