Recensione: Mind’s Eye
Vinnie Moore viene da alcuni considerato come un’ esempio paradigmatico di shredder che si è consumato nell’ emulazione del progenitore unico della chitarra neoclassica (leggi Yngwie Malmsteen). Niente di più sbagliato. Innanzi tutto Moore ha percorso diverse strade, più fusionistiche, nel prosieguo della sua carriera senza diventare l’ ombra di se stesso logorandosi sui soliti fiumi di note senza senso. C’è molto di più in Moore delle consunte scale armoniche minori! Poi egli aveva fin dall’ inizio una tecnica sopraffina che ha ulteriormente sviluppato nel corso degli anni, in continua evoluzione: la sua plettrata in alternato è diventata pulitissima oltrechè veloce, il suo vibrato ha fatto acquisire sempre più feel alle sue composizioni, il suo sweep-picking è divenuto qualcosa di leggendario, etc. Inoltre non ha mai “sporcato” i suoi dischi solistici con la voce di qualsivoglia cantante, ha sempre composto e suonato brani esclusivamente strumentali, in cui la chitarra era l’unico protagonista. Le sue esperienze collaborative, prima con Alice Cooper ed attualmente con gli UFO, sono state dei semplici intermezzi, tendenti più verso il mainstream, alla sua carriera solistica. “Mind’s Eye” ha rappresentato l’ esordio di Vinnie Moore nel mondo della chitarra rock che ancor oggi lo vede tra i suoi principali esponenti.
Questo disco è stato recentemente inserito dalla rispettata rivista “Guitar For The Practicing Musician” tra i venticinque lavori più influenti per la chitarra rock degli anni ’80. Sono assolutamente d’ accordo. Il neoclassico ha toccato qui i suoi vertici prima di affogare nel mare delle banalità degli anni ’90 dove c’erano orde di chitarristi che si limitavano a ripetere, senza la minima elaborazione originale, stilemi concepiti, e perfino suonati meglio a volte, un decennio prima. In “Mind’s Eye” Moore si servì di una line-up veramente d’eccezione che vedeva Tommy Aldrige (ex-Black Oak Arkansas, ex-Ozzy Osbourne, etc.), iniziatore nell’ uso della doppia cassa nel rock, alla batteria, Andy West (all’ epoca bassista dei Dixie Dregs di Steve Morse) al basso e Tony Macalpine alle tastiere. Quest’ ultimo avrebbe poi esordito nello stesso anno come axe-man solista rifacendosi ai temi neoclassici tipici di questo disco.
Vediamo in dettaglio come si articola il disco. Le danze si aprono subito con In Control, un classico tra i classici, track che ha un main-theme epico particolarmente intricato per quanto riguarda le ritmiche. L’ andamento dei tempi è assolutamente coinvolgente nell’ incedere ed ha il suo culmine nella parte dedicata ai solos chitarra/ tastiera. Segue Daydream che è ancora uno dei pezzi che Vinnie Moore esegue quasi sempre nei suoi concerti dal vivo. Il riff che introduce il brano è certamente più lieve rispetto al precedente, quasi sognante in riferimento al titolo. Il pezzo è diretto, essenziale, ma con un solo di tastiera incredibilmente melodico che ha una modulazione espressamente ricercata della durata delle singole note. Più in generale posso dire che in ogni solo presente sull’ album Macalpine cerca di sopperire alle carenze espressive che potrebbe avere uno strumento come la tastiera attraverso un’ attenta ricerca armonica.
Il brano successivo Saved By A Miracle è forse quello che io prediligo poiché è quello più cangiante nelle sue differenti sfumature emozionali: inizia in maniera intimista attraverso le note di una chitarra semi-acustica, ottimamente suonata, senza la minima imperfezione che ne sporchi il suono, poi prosegue con il tema dominante che si snoda fino al solo alieno (con tapping, sweeping e quant’altro…) di Vinnie che ci proietta nel susseguente labirinto ritmico creato da Tommy Aldrige nel suo drum-solo. Hero Without Honor è la track più lunga del platter. Inizia con uno splendido piano sonoro tastieristico di sottofondo per gli arpeggi struggenti della chitarra di Moore che sfumano in un solo di tastiera di Macalpine stavolta in sordina. Poi Moore riprende non iniziando a suonare delle vere è proprie linee definite, bensì snocciolando fraseggi a iosa sulle ali dell’ improvvisazione, ottimamente costruiti sia sul piano ritmico che armonico. La traccia è complessa ed intricata. C’è spazio anche per un solo di basso di Andy West doppiato dalla chitarra di Moore. Lifeforce è un brano molto diretto ed aggressivo come lo sarà il susseguente N.N.Y., con una velocità di esecuzione che aumenta vertiginosamente pur restando impeccabile la precisione dei musicisti. Entrambi i pezzi, ma soprattutto il secondo, mi ricordano molto per gli stacchi e le pause dei loro inserti chitarra/ tastiera le parti strumentali di gruppi oggi acclamati come i Symphony X. E’ certo che molti gruppi metal-progressivi, specialmente di ambito sinfonico, pagano un dazio ispirativo nei confronti di questo tipo di lavori.
Segue la title-track in cui è la chitarra dell’ autore che si impone come geniale e superba. Il riff iniziale è oscuro ed articolato in molteplici battute. Poi Moore tira fuori un solo che è impressionante per velocità e precisione, quindi improvvisamente c’è uno stacco ed il chitarrista riprende con un tempo molto più lento del precedente, in crescendo, con un livello finale di uscita imponente. Ottima gestione delle dinamiche. La successiva song Shadows Of Yesterday con la sua atmosfera sospesa e sognante è molto simile alla seconda traccia. Il lavoro si chiude con The Journey che è forse il pezzo più pomposo, ossessivamente ricercato nei dettagli armonici e ritmici. Ci sono diversi soli di Moore in sequenza cadenzati dalla ripresa della linea melodica di riferimento, sorretti dal muro sonoro creato da Macalpine. Sicuramente il disco merita il mio apprezzamento per la freschezza e l’ originalità delle idee, e per l’ abilità tecnica con cui queste vengono presentate.
Per chiunque ha amato la chitarra neoclassica, che ormai sembra aver segnato il passo per quanto riguarda la creatività dei suoi maggiori esponenti, questo è un disco fondamentale, con una produzione stranamente medio-buona che lo valorizza.
E’ difficile indicare lavori altrettanto validi sul piano compositivo oltreché tecnico rispetto a questo “Mind’s Eye” che l’ abbiano preceduto o seguito. Si potrebbero contare sulla punta delle dita di una mano. Insomma il vero talento solitamente è raro, viene a piccole dosi. Qui c’è un chitarrista, parzialmente dimenticato, che di talento ne aveva e ne ha parecchio. Ascoltare per credere.
TRACKLIST:
- In Control (Moore) – 4:38
- Daydream (Moore) – 4:31
- Saved By A Miracle (Moore) – 5:19
- Hero Without Honor (Moore) – 7:19
- Lifeforce (Moore) – 4:02
- N.N.Y. (Moore) – 3:43
- Mind’s Eye (Moore) – 3:28
- Shadows Of Yesterday (Moore) – 4:34
- The Journey (Moore) – 5:26